Partecipazione dei lavoratori all'impresa, salario minino per tutti a garanzia del lavoro precario, patto generazionale padri-madri-figli per le pensioni e infine forte attenzione al mondo delle piccole e medie imprese e dei lavoratori autonomi, a cominciare dal nodo della liquidità e del recupero dei crediti verso la pubblica amministrazione.
Sia pure con qualche sfumatura, i programmi economici dei due candidati alla segreteria del Pd - l'attuale segretario Dario Franceschini (ex popolare) e lo sfidante Pierluigi Bersani (ex diessino) - convergono sui punti principali. Al netto di una coloritura lievemente più "riformista" nel campo di Franceschini (dove si ragiona ad esempio sull'opportunità di superare l'articolo 18 tramite il contratto unico), l'effetto un po' paradossale di questa lunga contesa pre-congressuale è che i due principali contendenti non sono divisi sulle ricette social-economiche. La divisione - emersa chiaramente in queste ultime ore - è piuttosto in campo politico: forma partito e alleanze. Ed è una divisione che attraversa la galassia diessina e ulivista da almeno due lustri.
Da una parte il centrosinistra senza trattino evocato da Franceschini, che ha difeso il sistema elettorale maggioritario dell'era ulivista auspicando il ritorno ai collegi uninominali e soprattutto ha difeso il sistema delle primarie: aperte a tutti i cittadini e da fare anche per scegliere il segretario del partito («gli elettori vanno chiamati insieme agli iscritti nei momenti delle grandi scelte, com'è certamente l'elezione di un segretario nazionale»). Dall'altra la rivendicazione della parola "sinistra" (da unire evidentemente con il trattino a un centro impersonato in questo momento dall'Udc di Casini), la proposta di una legge elettorale proporzionale con sbarramento sul modello tedesco e soprattutto un ridimensionamento del sistema della primarie: da fare di coalizione e solo per la scelta delle cariche istituzionali (presidente del Consiglio, presidente di regione, sindaco).
Difficile non vedere dietro la piattaforma politica di Franceschini l'idea-partito di Veltroni così come dietro la piattaforma di Bersani l'ombra ancora più evidente della strategia di D'Alema. Veltroni e D'Alema. Ulivo o social-democrazia, vocazione maggioritaria o alleanza con il centro. Sembra in effetti di rivedere un film molto noto a sinistra, e cominciato a girare almeno quindici anni fa. Il rischio in più dell'oggi è una soluzione tra il paradossale e il tragico: uno dei due candidati vincitore al congresso e l'altro alle primarie che si terranno subito dopo. Un rischio non poi così lontano se si pensa che Bersani è probabilmente più forte nel mondo degli iscritti e Franceschini lo è probabilmente di più nel mondo dei simpatizzanti e degli elettori.
Quel che è certo è che occorre fare una scelta chiara su forma partito e alleanze, a cominciare dal rapporto con l'Idv di Di Pietro di cui non a caso nessuno parla. Per tornare con più forza e con identità definita a fare il lavoro che elettori e iscritti si aspettano dal Pd in questa fase: una seria opposizione e la messa a punto di un progetto per tornare un giorno alla guida del Paese.