«Non ci sono problemi da parte mia, sono situazioni evocate dal presidente della Camera. Io non ho problemi, ma ci sono due concezioni diverse in campo: la mia vede nei partiti dei movimenti che devono essere presenti sul territorio e organizzarsi nei momenti elettorali. Per chi è professionista della politica come Fini, deve svolgere funzioni più allargate». Silvio Berlusconi non sembra intenzionato a siglare la tregua con il presidente della Camera con il quale – ci tiene comunque a far sapere – «i fraintendimenti sono superabilissimi». Intervistato da Bruno Vespa a Porta porta non manca poi di attaccare i media, definendo «delinquenziale» l'atteggiamento di chi parla di rischio per la libertà di stampa in Italia («troppi i farabutti in politica, stampa e tv»). Quanto alla Rai, dice, è «l'unica azienda televisiva del mondo pagata con i soldi dei cittadini che attacca una sola parte politica, la maggioranza di governo».
Gelo con Casini sulle regionali
Parole che pesano. Come quelle indirizzate a Pier Ferdinando Casini che interviene telefonicamente alla trasmissione dopo l'accusa in diretta del Cavaliere all'Udc di volersi alleare alle regionali con il Pd o il Pdl solo per ragioni di «poltrone». «Se il presidente del Consiglio la pensa così – ha replicato Casini – allora non avremo nessuna difficoltà a non fare alleanze con il Pdl». Gelida la risposta del premier: «Auguri».
Ma la tensione resta soprattutto con Fini e con gli ex An, che ieri hanno sottoscritto la lettera indirizzata al premier dal vicecapogruppo della Camera Italo Bocchino nella quale si chiede maggior confronto sulle decisioni per evitare uno sbilanciamento in favore della Lega e per impedire che la somma di problemi diversi possa creare «un corto circuito interno al Pdl». Berlusconi non sembra però intenzionato a rinunciare all'asse privilegiato con la Lega e alle sue cene con Bossi: al massimo, concede, può essere creato un «organo informale», un sorta di «caminetto» con i coordinatori del partito e i capigruppo di Camera e Senato per discutere le posizioni del Carroccio. Insomma Bossi non si tocca, le sue uscite secessioniste, ripete, fanno parte del vocabolario che il Senatur usa per carezzare la sua gente. Nulla di più. All'ipotesi di elezioni anticipate ventilata dal leader leghista risponde però in modo netto: «Non ci ho mai pensato, intendo portare al termine il mio mandato».
Non una parola invece sull'attacco del Giornale al presidente della Camera che proprio ieri ha dato mandato di querelare Vittorio Feltri. Nell'Aula di Montecitorio la tensione tra le fila del Pdl è altissima. L'ex An Italo Bocchino comincia a far circolare la lettera indirizzata a Berlusconi nella quale si chiede esplicitamente al premier un «patto di consultazione permanente» tra lui e Fini e l'attenzione ad evitare che dalle «cene del lunedì» con Bossi venga fuori una linea dell'esecutivo. Proprio quelle «cene» che Berlusconi poche ore dopo avrebbe difeso. Bocchino alla Camera chiede ai deputati ex An di firmare. In poco tempo le sottoscrizioni arrivano a circa una quarantina. Poi però accade qualcosa. Gli ex colonnelli del partito di cui Fini era leader – La Russa, Matteoli, Gasparri e anche Alemanno – fanno sapere che così si allontana il chiarimento nel Pdl. Ma ormai è troppo tardi. I finiani, se serve, sono intenzionati ad andare alla conta. Lo capiscono anche gli ex azzurri. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello inviano messaggi di pace, confermando la linea già tracciata da Giulio Tremonti nell'intervista pubblicata ieri dal Corriere della sera e nella quale il ministro dell'Economia chiede una «tregua», sottolineando la necessità di un confronto sulle idee di Fini all'interno del partito perché, spiega, «vince chi convince».
Dopo una serie di faccia a faccia e mini-vertici telefonici si decide di ricomporre la frattura, che viene certificata da una pubblica dichiarazione di La Russa nella quale il coordinatore del Pdl conferma la sottoscrizione della missiva da parte di tutti i deputati ex An.
Il sondaggio di Radio24 con Fini o con Feltrii