«Ipotizzare in queste ore l'exit strategy dall'Afghanistan può dare vantaggio al terrorismo e portare alla crescita della violenza contro i nostri soldati» mette in guardia il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «Il ritiro della comunità internazionale dall'Afghanistan sarebbe una catastrofe» concorda pienamente l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Come dire: quando è in gioco la vita dei nostri militari all'estero e in generale l'orgoglio e l'unità nazionale, l'incontro di Pdl e Pd diventa quasi naturale.
Una condivisione di idee apprezzata dai massimi vertici istituzionali, a cominciare dal capo dello Stato che da Tokio ha rassicurato la comunità internazionale sulla convinzione dell'Italia di continuare la missione afghana «senza modifiche» e ha reso pubblicamente onore al Pd constatando che «non trapela nessuna divisione da quella parte». Nelle parole del capo dello Stato rimane invece impressa una indiretta preoccupazione per le posizioni espresse dalla Lega. A esplicita domanda dei giornalisti Napolitano ha invitato a rivolgere l'interrogativo al presidente del Consiglio.
E infatti, sebbene nessun esponente del Carroccio abbia oggi rinnovato l'auspicio di Bossi a far rientrare i soldati entro Natale, il ministro Calderoli ha chiesto al Consiglio dei ministri almeno un disimpegno dei militari in altre aree.
Insomma, l'unità tra Pd e Pdl non si scorge all'interno delle rispettive coalizioni: spaccato il centro-destra, spaccato il centro-sinistra. Con il singolare risultato di una convergenza trasversale tra Lega e Italia dei valori, accomunate dal desiderio di abbandonare quanto prima il terreno minato di Kabul. Convergenza singolare, ma anche imbarazzante, per Umberto Bossi che deve ascoltare il suo (temporaneo) alleato Di Pietro dire di Berlusconi: «Finirà come Saddam: cadrà con il dito alzato facendo finta di niente».
