«Perché proprio io?». La domanda deve aver rimbombato nella mente di Giovanni Florido, presidente Pd della provincia di Taranto, quando l'ordinanza del Tar che gli ha bocciato la giunta dandogli trenta giorni per trovare posto a qualche donna l'ha fatto finire sulle pagine di tutti i giornali come campione del maschilismo in politica.
L'interrogativo è legittimo, visto che le Taranto d'Italia, cioè le giunte declinate tutte al maschile che rischiano la bocciatura all'esame della parità, sono tantine: 1.580, in pratica una su cinque.
A segnare la sorte di Taranto è stata un'imprudente norma dello Statuto provinciale, che in un afflato di civiltà subito tradito dalla prassi impone la presenza di donne nella giunta. Ma in realtà questo è un dettaglio, e i tanti politici locali alla guida di plotoni di soli maschi non possono tranquillizzarsi troppo dall'assenza di una norma simile nello statuto del proprio ente. A imporlo, infatti, è addirittura la carta fondamentale degli enti locali, cioè il Testo unico del 2000, che (all'articolo 6, comma 3) chiede a tutti gli statuti locali di «stabilire norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna», e «promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali» dell'ente. Se lo statuto tace, insomma, è fuorilegge.
Con il piglio del giurista si può obiettare che la cosa non riguarda le regioni, che sono enti legislativi, hanno un grado di autonomia più marcato e soprattutto non sono toccate dal Testo unico degli enti locali. Ma più si sale nei livelli di governo, più è grande il rischio-figuraccia anche perché le giustificazioni classiche per gli esecutivi only for men diventano inutilizzabili. I sindaci dei tanti piccoli comuni senza una punta di rosa in giunta si possono difendere con la scarsità cronica di aspiranti amministratori, ma un argomento del genere deve apparire abbastanza ostico al governatore lombardo Roberto Formigoni. Il «presidente a vita» (definizione di Silvio Berlusconi) guida la regione più popolosa d'Italia, ma nella sua giunta extralarge (17 membri, eguagliata solo dal Lazio) alle signore non ha trovato nemmeno uno strapuntino. La stessa cosa accade a Vito De Filippo (Pd) in Basilicata, ma lì almeno i posti di comando sono solo sette.
Gli esecutivi di soli uomini, insomma, non conoscono confini di geografia, colore politico e livelli di governo. Ci è cascato un democristiano doc come Fausto Pepe, sindaco di Benevento (13 a zero per gli uomini nella sua giunta), leghisti veraci come Gian Paolo Gobbo (sindaco di Treviso) o Daniele Molgora (presidente della provincia di Brescia, oltre che sottosegretario all'Economia), esponenti della sinistra "alternativa" come Fabrizio Cesetti, presidente targato Sinistra e Libertà della provincia di Fermo, e personaggi simbolo della politica locale come Fabio Melilli, che oltre alla provincia di Rieti guida l'unione delle province italiane. A Catania o Viterbo, poi, trovare una donna che voglia far politica deve essere un'impresa impossibile, visto che non ci sono riusciti né i sindaci né i presidenti di provincia.
Se la giunta per soli uomini è la più eclatante, le manifestazioni del maschilismo in politica sono comunque molte. Un'altra situazione classica è quella dell'unica donna in giunta (accade in 27 province e in 33 comuni capoluogo), in genere accompagnata dalle più scontate deleghe in rosa. Alla provincia di Avellino, per esempio, l'unico assessore donna è alle Pari opportunità, e il suo mestiere non deve essere semplice; spesso invece le uniche presenze femminili si dedicano all'istruzione, alle politiche sociali o alla cultura. Le deleghe "pesanti" come il bilancio o lo sviluppo economico, insomma, sono roba da uomini.