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È morto Gino Giugni, il padre dello Statuto
dei lavoratori

di Serena Uccello

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5 ottobre 2009
Gino Giugni in una foto dell'ottobre 1999 (Imagoeconomica)

Nato a Genova nel 1927, il giuslavorista è morto questa notte a Roma, dopo una lunga malattia. A lui si deve il documento che costituisce l'architrave del diritto del lavoro in Italia


È morto questa notte a Roma, dopo una lunga malattia, Gino Giugni, il padre dello Statuto dei lavoratori. Nato a Genova il 1 agosto 1927, giurista, il suo nome è indissolubilmente legato allo Statuto dei lavoratori. A lui si deve infatti il documento che costituisce l'architrave del giuslavorismo in Italia. Legge nel maggio del 1970, le "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e nell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", quasi quarant'anni dopo, restano ancora testo di riferimento.

Come accadrà inseguito a Massimo D'Antona e Marco Biagi, Giugni finirà, per il suo impegno, nel maggio del 1983 nel mirino delle Brigate Rosse: una donna gli sparerà alle gambe mentre stava camminando a Roma. Quell'attentato rappresenterà anche l'inizio di nuova strategia del terrorismo rosso che non puntava più solo a colpire il cuore dello Stato, attraverso i suoi servitori – magistrati o poliziotti -, ma anche il suo cervello, ossia quegli uomini che con il loro lavoro rappresentavano l'anello di congiunzione tra le istituzioni e il mondo economico.

Nel 1983 venne anche eletto senatore nelle liste del Partito socialista italiano: fu presidente della commissione per il lavoro e la sicurezza sociale e membro della commissione parlamentare inquirente sulla P2. Confermato senatore alle elezioni politiche del 1987, mantiene anche la presidenza della commissione lavoro. Dal 1993 al 1994 è presidente del Psi e nello stesso arco di tempo diviene Ministro del Lavoro del governo Ciampi.

Con quello che sarebbe stato il decimo presidente della Repubblica affrontò una delle riforma destinata a incidere fortemente sulla vita dei lavoratori: il protocollo del '93 sulla politica dei redditi. Ventinove pagine che cambiarono il corso delle relazioni industriali e favorirono il risanamento dei conti pubblici. Il paese viveva una fase difficile: la Prima Repubblica stava crollando e trasformandosi sotto i colpi dell'inchiesta Mani Pulite. A guidare il governo era stato chiamato il governatore della Banca d' Italia, Carlo Azeglio Ciampi, che il 29 giugno 1993 lanciò dal palco del congresso della Cisl l'ultimo appello alle parti sociali, proprio mentre a Bruxelles il comitato monetario della Cee faceva slittare l' erogazione della seconda tranche del prestito di 8 miliardi di Ecu concesso all'Italia. Risolutivo per convincere le parti a sottoscrivere l'accordo l'intervento di Giugni che rassicurò i sindacati sulla contrattazione aziendale (non sarà obbligatoria, ma «si tratta dove si vuole trattare»).

Dopo Mani Pulite e la fine del Psi aderisce ai Sociali Italiani di Enrico Boselli. Alle politiche del 1994 viene eletto deputato tra le file dei Progressisti. Negli ultimi anni alla politica ha preferito l'insegnamento all'università, come ordinario alla facoltà di economia della Sapienza a Roma. Più di recente ha aderito al Partito Democratico.

5 ottobre 2009
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