Il Sole 24 Ore
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12 ottobre 2009

Economia, demografia, politica: i numeri per pesare il Veneto

di Paolo Feltrin

Negli ultimi anni, specie tra il 2003 e il 2007, qualche osservatore aveva messo in dubbio il successo veneto sulla base dei dati Istat relativi al Pil industriale, che risultavano meno positivi rispetti agli anni novanta. Siccome negli stessi anni continuava a crescere l'occupazione era inevitabile registrare un calo significativo della produttività del lavoro: rallentamento della crescita del prodotto interno lordo e declino della produttività venivano conseguentemente interpretati come segnali di debolezza del sistema economico locale. Analogo discorso veniva fatto per l'intero paese. All'osservazione circa la stranezza di un'occupazione in crescita nonostante il ristagno del pil le repliche erano vaghe o poco convincenti, per lo più incentrate sull'ipotesi di produttività più basse da parte di fasce di lavoratori marginali. Nella primavera scorsa ci ha pensato l'Istat a riportare le cose in chiaro, rettificando i dati del Pil industriale nel periodo 2003-2007, che risulta ora cresciuto del doppio rispetto alle misure ufficiali pubblicate negli anni scorsi: nel solo 2007 la rettifica del pil industriale a livello nazionale passa da +0,5% a + 2,8%.

Alla base di queste importanti rettifiche vi è probabilmente la sottostima del valore dell'export e una sottovalutazione dello spostamento verso l'alto delle produzioni rivolte all'export in settori tradizionali. Nelle prossime settimane l'Istat rilascerà i ricalcoli dei Pil regionali sulla base delle nuove stime, ed è facile prevedere che anche il "rebus veneto" troverà finalmente una soluzione soddisfacente. Insomma, con i dati bisogna andarci cauti. Il successo economico del Veneto, specie nel lungo periodo, è fuori discussione -quasi il 10% del Pil nazionale, oltre il 40% di quello del Nordest, con tassi di crescita molto superiori rispetto alle regioni del Centronord- tanto che le stime che si possono fare sugli effetti della crisi in corso non necessariamente conducono a previsioni troppo pessimistiche, specie se si conducono gli opportuni confronti con le regioni limitrofe.

L'attenzione all'economia a volte porta a trascurare le conseguenze demografiche dello sviluppo regionale. Per secoli, infatti, la risorsa lavoro –famiglie numerose, alti tassi di natalità- è stata una caratteristica delle società povere, con sovrabbondanza di forza lavoro in agricoltura. Ancora oggi, quando si leggono le statistiche internazionali, viene immediata l'associazione tra crescita demografica e sottosviluppo. Tuttavia anche i paesi sviluppati, con economie industriali e terziarie, aumentano la loro popolazione nonostante i bassi tassi di natalità. Come è noto, il driver degli incrementi demografici è la domanda di lavoro che proviene dal sistema economico e la modalità prevalente di risposta è costituito dagli spostamenti di popolazione (immigrazioni). Anche la crescita economica del Veneto negli ultimi decenni si è tradotta in un rilevante incremento di popolazione, in larga parte inatteso e non previsto. Le conseguenze sono state più d'una: si è trasformato in modo radicale il paesaggio rurale del Veneto; è aumentata la domanda di mobilità; si è modificata la composizione etnica della popolazione.

Dal 1961 ad oggi, la popolazione veneta è aumentata di circa 1 milione di abitanti passando dai 3,8 milioni di inizio anni '60 agli attuali 4,8 milioni. Se si guarda agli anni più recenti la crescita di popolazione diventa impressionante. Tra il 2001 e il 2008, in Veneto si sono stabiliti circa 360.000 nuovi residenti: come se ogni anno fosse sorta dal nulla una nuova città delle dimensioni di 50.000 abitanti. A volte si immagina che i nuovi arrivi siano solo stranieri: non è così dal momento che gli stranieri rappresentano un terzo dei nuovi veneti (circa 350.000), mentre i rimanenti due terzi –semplificando molto sugli effetti delle diverse componenti demografiche- o sono nati qui, oppure provengono dalle altre regioni del Nord e dal resto d'Italia, in particolare dal Sud. Ne consegue che nel giro di qualche anno il Veneto supererà la soglia dei 5 milioni di abitanti e sarà regione molto più varia e composita del passato, con oltre un quarto dei suoi abitanti che non hanno origini autoctone.

Economia e demografia vanno di pari passo anche nel disegnare le traiettorie regionali di lunghissimo periodo. Se si guarda alle 5 grandi regioni del Centro-nord (Lombardia, Veneto, Emilia, Piemonte, ci si rende conto agevolmente di come siano cambiati i rapporti di forza dall'unità d'Italia ad oggi. Nel 1871 il Veneto era all'ultimo posto della classifica, in compagnia della Toscana, con meno di 2,2 milioni di abitanti. Dopo quasi un secolo e mezzo, Toscana e Piemonte, in epoche diverse, si sono come sganciate dal treno in corsa, l'Emilia tiene le posizioni, mentre Lombardia e Veneto si comportano da vere e proprie locomotive del Nord. La Lombardia quasi triplica i suoi abitanti passando da 3,5 milioni a più di 9,5 milioni (più grande di molti stati europei), mentre il Veneto cresce fino a diventare la seconda regione del Centro-nord, stacca nettamente il Piemonte (che raggiunge il massimo storico nel 1981 e poi perde popolazione), ed è la regione con il maggiore aumento di popolazione dal 1981 ad oggi (+11%, +500.000 abitanti), superando anche la stessa Lombardia (+8%, +750.000 abitanti).

Proviamo a concludere: il Veneto non è solo una regione forte perché conta di più dal punto di vista economico, ma è importante perché pesa di più dal punto di vista demografico (ed elettorale). E la politica? Anche in questo caso i rapporti di forza tra classi dirigenti possono essere valutati solo nel lungo periodo, seppure le misure siano più opinabili. Ma non c'è dubbio che il peso del Veneto sia cresciuto nel tempo in tutte le organizzazioni sociali e politiche. Anche la rappresentanza governativa non fa eccezione: 3 ministri non sono certo pochi, più 4/5 sottosegretari. Inoltre, siccome il centro-destra pesa molto di più del centro-sinistra, grossomodo 2/3 a 1/3, appare abbastanza ovvio che il Veneto sia più presente nei governi di centro-destra rispetto a quelli di centro-sinistra. Del resto, se si fanno i conti sul lungo periodo ci si accorge abbastanza facilmente che la rappresentanza governativa del Veneto è stata meno squilibrata di quanto si pensi. Certo, conterà sempre la metà della Lombardia e circa un decimo circa rispetto all'Italia nel suo complesso, ma è difficile contare di più rispetto al proprio peso relativo. A chi recrimina sullo scarso peso delle classi dirigenti va sempre ricordato che i numeri non si possono utilizzare a fasi alterne, solo quando fa comodo. Se, invece, il discorso si sposta sulla "qualità" delle classi dirigenti, allora tutte le opinioni sono valide, ma hanno anche lo stesso identico peso. E infine: la futilità della discussione appare evidente se si rammenta il fatto che –a differenza del calcio e dell'economia- non si può sopperire ad una supposta carenza di talenti politici andandoli a prendere all'estero.



12 ottobre 2009

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