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Per l'acqua il confine tra gestione e proprietà

di Maurizio Gasparri

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7 Novembre 2009

Sui servizi pubblici locali il Senato ha varato una riforma di straordinaria portata, un intervento che mai nessun governo precedente era riuscito a compiere.
Una riforma per il mercato; per innestare la competitività all'interno di settori che ne sono stati per troppo tempo al riparo; per liberalizzare e, quindi, anche privatizzare, qualora ve ne siano le condizioni e le dinamiche del confronto competitivo tra operatori individuino soggetti privati come i migliori sul mercato di riferimento. Nulla vieta, tuttavia, che a vincere una gara sia una società pubblica, laddove essa accetti le condizioni e le regole del mercato all'interno del quale vuole operare, senza privilegi o vantaggi derivanti dall'essere affidataria diretta del servizio.
La linea che separa le due culture alternative in materia di servizi pubblici locali sta proprio nella risposta a questo quesito di fondo: l'impresa pubblica – ovvero il Comune imprenditore, il Comune proprietario/azionista della società di cui è anche controllore e regolatore – deve avere una corsia preferenziale e beneficiare di affidamenti diretti? Oppure è giusto dare l'opportunità di gestioni in house soltanto laddove rientrino in una casistica rigorosamente dettagliata e, soprattutto, solo a condizione che tali affidamenti non rappresentino una modalità per eludere le regole del mercato, beneficiando di un trattamento di favore senza scontare alcun limite, anche territoriale, derivanti della proprietà pubblica di queste aziende? Alla domanda se la distorsione della concorrenza sia giustificabile stante la natura pubblica di una società, noi rispondiamo un secco no. L'equidistanza tra pubblico e privato è il pilastro fondamentale di questa riforma. Non ci ha mai convinto, né ci convince oggi, che la tutela dei diritti del cittadino utente sia appannaggio di colui che, rappresentando l'azienda pubblica, deve per definizione e vocazione perseguire l'utile di bilancio e, al contempo, il regolatore pubblico che costituzionalmente deve tutelare e garantire l'interesse dell'utente ad un servizio efficiente ed economico.
In questa cornice, si inserisce la questione acqua e la gestione del servizio idrico integrato. L'acqua è pubblica per legge dal 1994. Il recente decreto 152 del 2006 ha ribadito ciò che è ormai un principio di valenza pseudo-costituzionale. Nessuno potrebbe, anche volendo, privatizzare un bene appartenente al demanio indisponibile dello Stato. Di cosa stiamo parlando allora? Forse la sinistra confonde il concetto di proprietà con quello di gestione. Ed allora spieghiamo alla sinistra che la gestione, anche del servizio idrico integrato, dovrà rispettare le modalità individuate dal nuovo testo di riforma e che la proprietà della risorsa resterà sempre e comunque pubblica.
Per finire una domanda e un consiglio. Come spiega la sinistra il comune fenomeno di gestioni tutte pubbliche, che hanno primeggiato, negativamente, per i livelli tariffari raggiunti, a fronte di un servizio imbarazzante soprattutto in materia di depurazione (basta vedere le centinaia di infrazioni comunitarie pendenti)? Nella fiduciosa attesa di una risposta, ci permettiamo di consigliare un ripasso del codice civile e del Testo Unico degli Enti locali: ci sono principi che aiutano a a capire la differenza tra proprietà e gestione. Ma questa è tutta un'altra storia.
Presidente gruppo Pdl Senato

7 Novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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