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Perché Agrigento resta «isola nell'isola»

di Nino Amadore

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19 dicembre 2009
(Marka)

L'hanno definita un'isola nell'isola. Ma a ben vedere è un arcipelago nell'isola. La provincia di Agrigento, pur avendo tanti abitanti quanto una media città del Nord (i residenti a fine giugno erano 454.370), è la rappresentazione geografica di numerosi valori e altrettanti problemi. Agrigento ha in sé, ad esempio, la popolosa e agricola Licata, più vicina a Gela per vocazione sociale ed economica, la turistica Sciacca, l'entroterra agricolo, il trionfo archeologico che fa del capoluogo uno dei più grandi bacini del mondo. Questa complessità che è sinonimo di ricchezza, anche se non sempre le statistiche riescono a cogliere il valore (persino economico) di questo territorio.

Agrigento resta inchiodata agli ultimi posti delle classifiche sulla qualità della vita e non riesce a fare il salto nonostante gli sforzi che da qualche anno la nuova classe dirigente locale sta facendo. Nella polis in cui il potere siciliano e nazionale si è consolidato almeno negli ultimi trent'anni, oggi un manipolo di quarantenni a capo di enti locali, associazioni di impresa, sindacato, prova a ribaltare la situazione ma deve fare i conti con la zavorra del passato. Non sono bastati due presidenti della regione a dare la svolta definitiva alla loro provincia affrontando i principali problemi. A partire dal sostanziale isolamento rispetto al resto dell'isola e dunque del mondo: «Questa provincia è l'unica a non essere toccata da un'autostrada – spiega il presidente di Confindustria, Giuseppe Catanzaro – anche se ora con gli interventi sulla Statale 640 si dovrebbe ovviare a questo inconveniente». Un lavoro su una strada che da simbolo di morte (qui è stato ucciso il giudice ragazzino Rosario Livatino) diventa simbolo di libertà e di crescita: ed è solo uno degli interventi in cantiere poiché si punta anche su un aeroporto e sul potenziamento dello scalo di Porto Empedocle.

Per terra, per mare e per aria, Agrigento cerca di rompere l'isolamento: così tenta anche di scalare la classifica del benessere dando risposte, per esempio, agli imprenditori che hanno saputo cambiare prospettiva scommetendo su settori nuovi e diventando in pochi anni esempi da seguire. Come ha fatto Salvatore Moncada che dal tradizionale comparto delle costruzioni è passato all'energia rinnovabile e lunedì inaugura a Campofranco, ai confini con la provincia di Agrigento, il primo grande stabilimento italiano per la produzione di film per il fotovoltaico. È un esempio delle diverse velocità esistenti tra pubblico e privato. Di cui prende atto la sindacalista Mariella Lo Bello, segretaria provinciale della Cgil: «Bisogna avere il coraggio di restare qui se si è nati in questa terra – dice –: qui è mancata e manca la politica che sa farsi progetto. Agrigento ha sempre avuto il suo ministro, il suo presidente della regione ma non c'è mai stata la volontà».

Gli agrigentini hanno accettato, incassato quel poco (o molto) che ritenevano di avere avuto, e hanno taciuto. Presi da un altro grande difetto: la rassegnazione. Anzi, dice la sindacalista, hanno «peccato di accidia». Ritrovandosi in coda e sempre dietro, a dover chiedere per favore diritti elementari, a doversi confrontare con una mafia feroce e pervasiva (ancora oggi vi sono due capimafia e latitanti pericolosissimi come Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone), ad accettare supinamente le collusioni dei politici e di parte della borghesia delle professioni con il sistema criminale. Qui l'acquedotto che porta l'acqua dissalata è piantonato dai carabinieri perché il furto nella condotta era diventato la norma anche per gli imbufaliti cittadini che potevano riempire le loro grandi vasche solo una volta ogni dieci, dodici giorni.

Il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, elenca ciò che ha fatto in due anni e mezzo di amministrazione a partire dal cammino per il risanamento di un bilancio al collasso per proseguire poi con l'approvazione del piano regolatore (l'ultimo risaliva al 1979), cercando di ridare legalità e forma anche ai quartieroni abusivi, continuando con la riapertura di spazi di aggregazione e culturali dimenticati, per finire con il tentativo di rendere efficiente la raccolta dei rifiuti e con il risultato di far arrivare l'acqua nelle case ogni tre giorni. Dice: «È mancato finora l'interesse pubblico. La politica ha dato risposte a chi cercava una sistemazione nella pubblica amministrazione allargando le piante organiche. Abbiamo risorse straordinarie ma anche un trend di emigrazione molto serio. Dobbiamo provare a ribaltarlo».

19 dicembre 2009
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