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Irene Tinagli
I crucci di un giovane talento

di Sara Bianchi

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11 marzo 2010
Irene Tinagli

Ha scelto gli Stati Uniti per completare il suo percorso di studi e poi la Spagna (all'università Carlos III di Madrid) per la docenza universitaria, ma non ha mai rinunciato all'impegno per l'Italia, attraverso ricerche e pubblicazioni. Irene Tinagli, classe 1975, nata e cresciuta a Empoli, laureata alla Bocconi di Milano illusioni non se ne è mai fatte: «sapevo che sarebbe stato difficile rientrare», perchè «è questo il vero problema per chi sceglie esperienze lavorative fuori dal nostro Paese». «C'è tanta gente che avrebbe la possibilità di andarsene, ma ha molta paura di non trovare più un posto se decide di tornare». Eppure la sua esperienza all'estero è piena, appagante e ora Tinagli è stata premiata dal World Economic Forum come "Young global leaders" per "le doti professionali, impegno nella società e potenziale contributo a dare forma al futuro del mondo".
Il suo percorso all'estero inizia a Pittsburgh dove ha incontrato Richard Florida «le sue ricerche su processi di innovazione nelle città e nelle regioni mi interessavano molto», racconta. «Lui stava lavorando al libro che l'ha reso famoso "L'ascesa della classe creativa" e mi ha incoraggiata ad approfondire quei fenomeni in Europa e in Italia». Da quell'esperienza è nato "Talento da svendere", che ha pubblicato con Einaudi.

Qual è la mancanza più pesante per l'Italia nella valorizzazione dei giovani talenti?
«Ci sono due facce della medaglia: una legata alla valorizzazione, al merito, alla capacità di esprimersi e quindi alla necessità di sistemi più trasparenti nell'allocazione delle opportunità, più meritocratici; l'altra è quella relativa allo sviluppo delle condizioni che consentano a tutti di arrivare a certi risultati. L'Italia, in entrambi gli aspetti fa ancora fatica, è un paese nel quale i divari aumentano, ci sono sacche di povertà, c'è una cristallizzazione dell'accesso alle opportunità sia all'ingresso che nelle fasi di valorizzazione, è un sistema chiuso. Questo demotiva, non facilita il ricambio e gli entusiasmi, produce un clima di rassegnazione.

La crisi ha peggiorato la situazione?
In realtà i problemi dell'Italia vengono prima della crisi, perchè noi paghiamo il prezzo di scelte mancate. La gestione di questa fase è stata caratterizzata da un certo rigore nella finanza pubblica, e questo è stato positivo, vista la situazione del deficit. Ma mancano politiche strutturali che imprimano un cambiamento chiaro. Va bene il risparmio ma occorre saper investire, anche su politiche per la ricerca.

Parilamo di politica. Lei aveva creduto nel Pd ed era stata nel Coordinamento Nazionale con Walter Veltroni. Poi cosa è successo?
Non è successo niente, il problema è stato proprio questo. Non ho mai avuto ambizioni politiche e ho aderito a quel progetto perchè speravo di poter dare un contributo di idee, di rinnovamento in termini di formulazione politica. Ma in realtà non sono mai stata integrata in quel gruppo, evidentemente non c'era bisogno di me, così ho deciso di venirne fuori. D'altronde i partiti politici servono a questo, a cambiare il paese, l'accademico da solo non lo può fare, può dare un contributo di idee perchè le formazioni politiche si possano rinnovare. Ma deve essere una strada a due binari, altrimenti il meccanismo si inceppa. Putroppo questa ricettività nei confronti di idee nuove, di risorse esterne non c'è stata. Ma non credo sia un problema solo del Pd, credo sia un problema anche di altri partiti.

Poi è arrivata l'esperienza con Italia Futura
Si, quella è arrivata poco dopo. Italia Futura non è un partito e quindi non ha quelle connotazioni biologiche, è svincolata da certe dinamiche e si pone come obiettivo quello di analizzare problemi, pensare soluzioni e stimolare il dibattito pubblico. Sono caratteristiche che la rendono un contesto più affine a me.

E ora che idea si è fatta di quello che sta accadendo sulle regionali? Il solito pasticcio italiano?
Purtroppo sono quelle cose incredibili che ormai non ci sorprendono più, è questo che mi colpisce dell'Italia: accadono fatti che fino a qualche anno fa sembravano impensabili, ma ormai non si sorprende più nessuno. È un sintomo di come siamo abituati al peggio.
Anche gli episodi di corruzione che sono emersi in queste settimane mi hanno indignata. Chiamano in causa imprenditori di successo, persone nelle quali avevamo fiducia, che non avevano alcun bisogno di denaro. Sembra un sistema talmente pervasivo, tanto diffuso da riuscire a inghiottire tutto.

Lei è un talento riconosciuto anche dal World Economic Forum, include nei suoi progetti per il futuro l'Italia?
A me piace molto quello che faccio, mi piace fare ricerca e misurarmi anche con problemi concreti. Mi appassiona riuscire ad avere questo ruolo di ponte tra il mondo accademico e persone che stanno fuori da questo universo. Spero di continuare a farlo, magari a livelli più impegnativi, che abbiano un impatto maggiore. Lo faccio anche in altri paesi, ho lavorato in Svezia, in Norvegia. Ma la soddisfazione che provo quando mi occupo del mio Paese è diversa, perchè mi piace pensare all'Italia non fra trent'anni, ma fra cinque.

11 marzo 2010
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