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La regione Lazio ricorre alla
Consulta contro il «salva-liste»

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7 marzo 2010
La regione Lazio ricorre alla Consulta

La giunta regionale del Lazio riunita al completo in seduta straordinaria ha approvato all'unanimità una delibera che dispone il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto legge cosiddetto «salva liste». «Questa delibera non è una scelta politica ma istituzionale, che riafferma il principio del rispetto delle prerogative della Regione». Così il vicepresidente reggente della Regione Lazio Esterino Montino ha spiegato l'atto che avvia un ricorso alla Corte costituzionale, per conflitto di competenze, contro il cosiddetto decreto «salva-liste» del governo. Secondo Montino la legge elettorale «non ha mai avuto bisogno di interpretazioni in tanti anni, ma la si interpreta solo adesso. Renata Polverini - ha concluso - ci critica perchè lo relega ad atto politico contro una forza politica: è invece un intervento di carattere istituzionale e di difesa delle prerogative delle Regioni che tutti dovrebbero avere a cuore».

La decisione arriva al termine di una giornata in cui la decisione del Governo di risolvere per decreto l'empasse in Lazio e Lombardiaè stata al centro dello scontro politico. Silvio Berlusconi
, intervenuto in collegamento telefonico con una manifestazione elettorale a Napoli a sostegno del candidato alla guida della Regione Campania Stefano Caldoro, ha detto che per le prossime elezioni regionali i cittadini saranno chiamati a «una scelta di campo», dovendo decidere se dare il proprio consenso «a un Pdl che sa lavorare» o a un'opposizione che «sa solo insultare e criticare». Il premier ha anche lanciato un videomessaggio diffuso a Torino ad un'iniziativa del Pdl: «La sinistra, che ormai si è ammanettata a Di Pietro che è il partito dell'odio e dell'invidia sociale, vuole fare dell'Italia uno Stato di polizia dominato dall'oppressione tributaria e dall'oppressione giudiziaria. La nostra missione quindi, ancora una volta - ammonisce il premier - è quella di opporci a questo disegno illiberale per difendere la democrazia e per difendere la libertà nell'interesse di tutti».

All'indomani della pronuncia del Tar della Lombardia, che ha riammesso la lista collegata a Roberto Formigoni, il governatore, usando una metafora calcistica, ha dichiarato: «L'arbitro aveva già alzato il cartellino rosso ma la moviola ha stabilito, inderogabilmente, che il fallo lo aveva commesso l'avversario». Il presidente della Lombardia, riferendosi al decreto legge interpretativo controfirmato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha poi sottolineato che «siamo in gara senza aiutini ma non saremo vittoriosi senza un aiutone da parte degli elettori» alle elezioni.

Sul piede di guerra invece il Pd e tutta l'opposizione. La candidata del Pd in Lazio pensa addirittura a ritirarsi dalla competizione. «In tutta Italia se si arriva a tali atti di arroganza stiamo attenti. Io dico dell'angoscia vera che mi attanaglia di fondo - ha proseguito - so bene che mi si dirà è il male minore, che così fan tutti, che è sempre stato, ma io mi chiedo se a volte non sia il momento in cui uno dice: con i bari io non gioco, non lo so!». L'Italia dei Valori e il suo leader intanto continuano a criticare la decisione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In un'iniziativa elettorale a Lodi Antonio Di Pietro ha condannato il «falso perbenismo» di chi sostiene che «la colpa sia solo di chi ha commesso questo fatto grave lasciando fuori le responsabilità di chi doveva fare il controllore» (chiaro riferimento alla decisione del capo dello Stato di firmare il decreto voluto dall'esecutivo). Nel Pd però non la pensano allo stesso modo. «Di Pietro sbaglia - dice il presidente dell'Assemblea nazionale del Pd Rosy Bindi in un'intervista a Repubblica - il capo dello Stato ha compiuto una scelta rispettabile. Ciò detto, la nostra battaglia politica al decreto sarà frontale. Noi ci batteremo per sanare un vulnus, nelle piazze e in parlamento, con una durissima opposizione per impedire la conversione in legge del decreto».

Sul tema è intervenuto anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente per gli Affari Giuridici della Cei. «Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è già in atto è altamente scorretto da parte di tutti, perchè si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono in gioco un valore, il valore della partecipazione» ha dichiarato a Radio vaticana. Ma la Cei prende le distanze dalle sue dichiarazioni e in una nota precisa: «Le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica ed hanno assunto nelle vicende degli ultimi giorni ricadute di tipo politico ed istituzionale». È quanto precisa, in una nota, il portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, Mons.Domenico Pompili, spiegando che «considerata questa connotazione la Cei non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo».

E contro il decreto legge «salva-liste» è sceso in piazza il Popolo viola, chiedendo al governo il ritiro del provvedimento. La manifestazione più importante si è svolta nella Capitale, dove il movimento ha protestato per il terzo giorno consecutivo. Oggi, secondo gli organizzatori, oltre cinquemila manifestanti sono scesi in piazza Navona. Su un palco sono stati esposti striscioni dalla scritta: «Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare». L'iniziativa ha assunto un carattere interattivo, con migliaia di internauti che, partecipando all'evento connessi in diretta streaming, hanno lasciato i loro commenti su Facebook affinchè fossero letti sul palco.

  CONTINUA ...»

7 marzo 2010
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