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Tornano le grandi alleanze: ma l'Unione cambia veste

di Roberto D'Alimonte

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Giovedí 25 Marzo 2010
Per le elezioni tornano le grandi alleanze

Le elezioni politiche del 2008 erano state considerate da molti come uno spartiacque tra due fasi diverse della breve storia della Seconda repubblica. La prima caratterizzata dalla progressiva affermazione di un sistema partitico bipolare ma molto frammentato. La seconda sempre imperniata su un assetto bipolare ma con molti meno partiti. Il merito della svolta fu attribuito a Walter Veltroni. Il suo Pd a vocazione maggioritaria voleva segnare una discontinuità con un passato fatto di grandi ammucchiate elettorali capaci forse di vincere ma non di governare. Il "correre da soli", diventato in realtà un "correre con uno solo (Di Pietro)", fu la strategia con cui Veltroni voleva comunicare agli elettori italiani che il Pd era una cosa veramente nuova che aveva poco o nulla a che fare con i partiti fondatori, Ds e Margherita. Berlusconi fu costretto a rispondere. Fece il Pdl e rinunciò ad allearsi sia con l'Udc che con la Destra di Storace.

Le regionali di domenica prossima ci offrono un quadro del tutto diverso. Questo dice la tabella in basso che fa il punto sulla strategia delle alleanze dei due schieramenti maggiori nelle 13 regioni al voto. Il 2008 è un ricordo lontano. Le grandi ammucchiate sono tornate. Anzi sono più grandi di prima. Soprattutto a sinistra. In Piemonte e nel Lazio le coalizioni che appoggiano la Bresso e la Polverini vanno da Rifondazione comunista fino all'Udc passando per Di Pietro e i radicali con l'aggiunta di una pletora di liste ad hoc per intercettare voti a destra e a manca. In totale le liste che appoggiano la Bresso sono 12. Un record assoluto per questa tornata elettorale. In Puglia la coalizione di Vendola non comprende l'Udc ma gli altri ci sono tutti. Nelle restanti regioni qua e là si notano delle assenze ma il formato standard prevale quasi dappertutto. La Federazione della sinistra (Rifondazione e Comunisti italiani) è insieme al Pd in 10 regioni su 13. La sola vera eccezione è rappresentata dalle Marche dove l'asse Pd-Udc esclude sia la sinistra di Vendola (Sel) che quella di Ferrero e Diliberto (Fds), ma comprende comunque l'Idv.

Sembra la riedizione dell'Unione di Prodi ma una differenza tra l'Unione di ieri e le unioni di oggi c'è. È il peso della sinistra radicale. Nella coalizione di Prodi, Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Verdi avevano ottenuto complessivamente alla Camera il 10,2% dei voti. L'Ulivo ne aveva il 31,3% e il Pd era di là da venire. Oggi c'è un Pd che alle europee ha preso il 26,1% con una sinistra radicale (Rifondazione e Comunisti italiani) al 3,4% che diventa il 6,5% con la formazione di Vendola. È un centro-sinistra diverso con una sinistra più debole e un partito di riferimento più forte. Ma basta questa diversità a cancellare l'impressione di una coalizione capace di vincere ma non di governare? A livello regionale forse sì ma alle prossime politiche potrebbe essere tutta una altra storia.

Rispetto al 2008 una differenza la fa anche l'Udc. In sei regioni si presenta con un proprio candidato presidente. Cinque di queste sono regioni in cui i suoi voti erano inutili e quindi saggiamente – dal suo punto di vista – Casini ha preferito star fuori. Gli economisti direbbero che ha adottato una strategia di massimizzazione dell'utilità marginale dei suoi voti. In Puglia dove il suo appoggio sarebbe servito sia alla destra che alla sinistra è andata diversamente non per volontà di Casini, che si sarebbe schierato volentieri da una parte o dall'altra, ma per un gioco di veti incrociati. Nelle altre regioni non si è andato troppo per il sottile. Ci si è alleati con la Destra di Storace, con Rifondazione Comunista, con Di Pietro e anche con i Radicali. Quattro volte con il centro-sinistra e tre con il centro-destra. Tutto in nome di una crociata contro la Lega Nord e contro il bipolarismo.

Anche nel centro-destra si è fatto un passo indietro rispetto al 2008. Non solo si è cercata (e trovata in tre casi) l'alleanza con l'Udc, ma si è incorporata anche la Destra di Storace che allora era stata tenuta fuori. In Lazio, Campania e Calabria questo schieramento assomiglia molto da vicino alla vecchia Casa delle libertà in versione allargata. Comunque il centro-destra dimostra – per ora e grazie al collante Berlusconi – di continuare a essere meno frammentato del centro-sinistra.

Adesso resta da vedere come risponderanno gli elettori. Quanti saranno i partiti e i partitini che troveranno posto nei consigli regionali? Sarà un gioco di voti e di premi ma anche di sconti sulle soglie e di quozienti elettorali. Le liste che si presentano sono in totale 196, una media di 15 per regione con un picco di 32 in Piemonte. Quelle che prenderanno seggi saranno ovviamente molte meno. Quante, quali e con quale peso si vedrà lunedì sera.


Giovedí 25 Marzo 2010
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