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Elezioni, il premier si appella al Colle

di Celestina Dominelli

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4 marzo 2010


Per capire la rotta che il premier, Silvio Berlusconi, intende percorrere ora dopo la doppia bocciatura in appello sul listino di Formigoni e sulla lista romana del Pdl basta sentire le parole del ministro Roberto Calderoli. «Adesso l'importante, come ha sottolineato anche Bossi, è parlare con il presidente Napolitano». Il Cavaliere, evidentemente, continua a non fidarsi dei giudici, giudica «eccessivamente fiscale» l'interpretazione delle liste pidielline e si va dunque convincendo che i verdetti di altri magistrati, quelli del Tar, non ribalteranno certo la situazione compromessa dai verdetti delle Corti d'Appello di Roma e Milano.

La strada della soluzione politica conquista quindi peso di ora in ora e stasera il premier salirà al Quirinale per convincere il capo dello Stato ad avallarla. Poi, se otterrà un sì, spetterà al Cdm, che potrebbe essere convocato già alle 22 di stasera, metterla in pratica. Berlusconi sa bene, infatti, che le chance di far passare una leggina o un decreto sono legate sì alla possibilità di raggiungere un accordo con l'opposizione, ma soprattutto alla capacità di aprire un canale di dialogo con il Quirinale.

Ieri il capo dello Stato da Bruxelles aveva espresso tutta la sua preoccupazione per il «pasticcio» elettorale. Segno che c'è forse stato un leggero scatto in avanti del Colle rispetto a qualche giorno fa quando Napolitano aveva risposto alla lettera di Alemanno, rinviando ogni questione alle «competenti sedi giudiziarie».

A questo punto, dunque, la strada dell'intervento ad hoc è l'unica a rimanere in campo. Per questo il premier ha deciso di sconvocare la riunione di stasera con i vertici locali e nazionali del Pdl. Che sarebbe potuta diventare una pericolosa cassa di risonanza dei suoi crescenti malumori. Meglio invece abbassare i toni, è il ragionamento di Berlusconi, che punta dritto al provvedimento, ora decisamente più praticabili visto anche l'ammorbidimento della Lega.
Solo due giorni fa il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, aveva infatti ribadito il suo no al decreto, ma ora l'esclusione del listino di Formigoni cambia, e molto, le carte in tavola perché senza il listino si ferma in Lombardia anche la corsa del Carroccio. Un po' troppo per starsene con le mani in mano.

Non resta quindi che capire quale sia la ricetta migliore. Una legge ordinaria, che riapre i termini ma non modifica la data delle elezioni, avrebbe il vantaggio di non richiedere il vaglio del Colle, ma tempi forse incompatibili con l'urgenza del dossier elettorale. Mentre il decreto per un rinvio del voto, sarebbe la soluzione ottimale visti i tempi stretti ma dovrebbe incassare il pieno assenso del Colle. Un percorso, quest'ultimo, senz'altro più delicato e difficile, ma verso cui Berlusconi sembrerebbe propendere. Anche perché lo stop alle liste in Lombardia e nel Lazio configura quei requisiti di «necessità e urgenza», richiesti per i decreti. Requisiti su cui, però, il Quirinale non è più disposto a fare sconti.

4 marzo 2010
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