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C'è un tema carsico nel dibattito di politica economica italiana, le pensioni. Lei è d'accordo con Tremonti quando sostiene che la riforma è già stata fatta?
Stiamo garantendo alla nostra generazione un livello previdenziale che non siamo in grado di offrire ai nostri figli. Il problema è questo. È un atto di egosimo di una generazione che rischia di innescare un conflitto vero. Perciò io dico, da due anni per la verità, che bisogna intervenire ancora, anche garantendo pensioni minime più dignitose. E su questo vedo che sono d'accordo anche il governatore Draghi e, a volte, Berlusconi stesso.
A proposito di Draghi, secondo lei il governo sta facendo abbastanza per la sua candidatura a governatore della Bce?
La Banca d'Italia e il governatore sono una risorsa del nostro paese e mi ha fatto piacere che Tremonti lo abbia riconosciuto qualche settimana fa. Mi auguro che questa telenovela del rapporto Tremonti-Draghi sia finita. È una cosa che ridicolizza l'Italia. L'idea che il ministro dell'Economia, capace nel suo lavoro, perda il suo tempo a polemizzare in modo infantile con il governatore è una prova di debolezza. Comunque la corsa vera non è ancora partita. Di certo rischiamo di pagare la scarsa credibilità in Europa dell'Italia.
Dopo il voto regionale ci sono tre anni senza elezioni, che spazio politico si apre per le riforme?
Mi auguro che si facciano riforme condivise sotto il profilo istituzionale, ma che si facciano anche riforme condivise per l'economia. Guardiamo al tema dell'energia. O l'affrontiamo in un'ottica bipartisan o ci prendiamo in giro. Il giorno dopo le elezioni Berlusconi e Scajola farebbero bene a chiamare i principali partiti cercando l'intesa di tutti sul piano del governo. Altrimenti si butteranno solo ulteriori risorse. E al nucleare dovrà essere abbinato un grande piano verde, sulla new energy: come hanno fatto in Germania, bisogna agevolare i privati e chi vuole fare impianti di energia alternativa.
Ma dopo le elezioni ci saranno le condizioni, nella maggioranza e nei rapporti con l'opposizione, per portare avanti questi progetti?
Queste elezioni non sono la prova generale per il governo. È un test regionale, non nazionale. Ma dopo ci saranno tre anni in cui gli alibi sono finiti. Anche la sentenza sul caso Mills è importante perché riduce a zero gli alibi. Il governo deve confrontarsi con la sua capacità di risolvere i problemi. Se non ce l'ha, tra tre anni gli italiani ne trarranno le conseguenze.
Dal ministro Bondi al «Giornale» lei oggi è guardato come un nemico del Pdl.
Non pensavo che andare a pranzo con il presidente della Camera e con il presidente della commissione antimafia fosse una cosa di cui uno dovesse discolparsi. Entrambi peraltro sono esponenti del Pdl. Questo è il segno del degrado della politica. Gli amici del Pdl dovrebbero essere contenti che frequento loro e non altri. È un segno di nervosismo. E anche dell'implosione del Pdl. Come, del resto, testimonia anche questa vicenda di Roma.
Il Pdl rischia la scissione?
Non auguro sventure agli altri e penso che finché c'è Berlusconi la scissione non si materializzerà. Questo non è un partito, è un gruppo di persone tenute insieme da Berlusconi.
D'Alema, in un'intervista al Corriere della Sera, l'ha accusata di non avere gestito bene le alleanze alle regionali.
Sono contento, così tutti capiscono che tra noi permangono profonde differenze.
Un'ultima cosa: ha detto che non avrebbe votato Tremonti come uomo dell'anno per l'economia, per chi si sarebbe pronunciato?
Il vero oscar dovrebbe andare alle famiglie dei piccoli imprenditori che hanno resistito alla crisi.