Non si può dire che abbiano già ammainato la bandiera bianca, ma certo il clima dentro il Pdl romano non è dei migliori. Anche perché, ammette più di qualcuno, la speranza di veder ribaltato in appello il verdetto dell'ufficio centrale circoscrizionale è ridotta praticamente al lumicino.
Per questo lo stato maggiore del partito è già concentrato sulla tappa successiva: il ricorso al Tar. Dove proverà a dimostrare che i delegati del Pdl, finiti nell'occhio del ciclone, erano dentro l'ufficio prima della scadenza e che soprattutto la disorganizzazione dello stesso ufficio ha fatto sì che alla fine la lista venisse ingiustamente esclusa.
L'idea che continua a tener piede nel Pdl è infatti che ci sia una concomitanza quantomeno strana di elementi. Non un complotto, ma poco ci manca e tanto basta per capire quale sia il clima che si respira nel partito. D'altro canto la denuncia contro i radicali, accusati di aver intralciato i due delegati, come pure l'esposto per abuso d'ufficio contro i tre magistrati del tribunale di Roma, altro che non sono la spia di un malessere e la conferma di un complesso di accerchiamento che investe il Pdl a tutti i livelli.
Senza contare che all'interno la guerra dei lunghi coltelli è appena all'inizio. Dal canto loro, il sindaco Gianni Alemanno, e, a cascata, i maggiorenti del Pdl capitolino, da Vincenzo Piso ad Alfredo Pallone fino a Gianni Sammarco, si sono affrettati a smentire le ricostruzioni che parlano di interventi dell'ultima ora sulle liste per cambiare alcuni nomi in corsa particolarmente invisi. Come quello di Samuele Piccolo, recordman delle preferenze alle ultime elezioni e, a detta di molti, una vera e propria macchina da guerra in campagna elettorale che non guarda in faccia nemmeno i suoi. Insomma, una candidatura che ha provocato parecchi mal di pancia, e non sembra l'unica. A testimonianza che la messa a punto della lista ha lasciato dietro di sé molti strastichi.
Per non dire poi degli effetti legati alla difficile fusione tra le due anime del Pdl. Effetti che stanno investendo la macchina organizzativa allestita per le elezioni, a detta di molti inadeguata. «È come avere una Ferrari senza il motore adatto», si fa scappare uno degli esponenti di spicco del Pdl che preferisce l'anonimato. «Vero è che se alla fine, malgrado tutto, riusciremo a portare a casa la vittoria si entrerà necessariamente in una fase nuova». Servirà quindi un esame di coscienza per il Pdl «perché la struttura di cui disponiamo non è quella che dovrebbe avere un partito con il 40% di consensi». Oltre alle elezioni, dunque, il partito del premier ha davanti un'altra sfida, forse ancora più complicata: diventare un vero partito e non solo una semplice sommatoria di due forze.