La doppia batosta per il Pdl è arrivata quasi in contemporanea. Perché sia a Roma che a Milano la corsa del partito del premier, Silvio Berlusconi, è stata per il momento stoppata. Nella capitale, infatti, l'ufficio centrale regionale ha respinto il ricorso presentato dal Pdl confermando l'esclusione della lista provinciale. Stesso esito anche a Milano dove è arrivato il nuovo stop, dopo quello di due giorni fa, per il listino del governatore, Roberto Formigoni. A nulla, dunque, sono serviti i tentativi dei legali assoldati dal candidato presidente per dimostrare che le irregolarità legate a 514 firme (sulle 3.935 presentate a sostegno del listino) erano irrilevanti. I giudici non hanno accolto le argomentazioni illustrate nel ricorso.
La prossima tappa ora è il Tar cui il Pdl si rivolgerà per tentare di far ribaltare i due verdetti
«Per noi non è una sorpresa», ma ora «confidiamo nella decisione del Tar», è il commento del ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Che ora dovrà forse chiarire il senso delle parole affidate stamattina a un'intervista. «Se ci impediscono siamo pronti a tutto». Lui, nella partita lombarda ci ha messo la faccia tanto che ieri era a Milano, in fila con Guido Podestà, coordinatore regionale del partito, a presentare il ricorso per la riammissione del listino del governatore Formigoni.
Insomma, il giorno dopo lo stop alla lista regionale di Renata Polverini, il clima dentro il Pdl è sempre più teso e a nulla servono i tentativi di serrare le file, a Milano come a Roma, per non alimentare ancora le voci di un partito in preda a un preoccupante caos organizzativo, se non lacerato e allo sbando. D'altro canto, per capire che aria tira, basta sentire il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, che certo non le manda a dire: «Gli ulteriori interventi sulle liste Polverini mettono in evidenza un autentico accanimento, dal significato gravissimo. I ricorsi respinti sia della lista Formigoni, sia di quella provinciale del PdL del Lazio per Renata Polverini insieme all'accettazione della lista di disturbo a Cota in Piemonte, dimostrano che queste elezioni corrono il rischio di essere falsate con conseguenze gravissime per la nostra democrazia. Altro che dilettanti allo sbaraglio. Mi auguro comunque che le liste sia della Lombardia sia del Lazio possano essere recuperate ad altro livello di giurisdizione».
Troppi gli errori, che hanno fatto infuriare anche Silvio Berlusconi, molti i colpi di testa dei capi locali impegnati a difendere i propri orticelli. Senza contare che le due anime del Pdl - ex Forza Italia da una parte, ex Alleanza nazionale dall'altra - appaiono in queste ore più lontane che mai, tutte protese a ricacciare dall'altra parte la palla delle colpe. Intanto la Lega si gode la figuraccia degli alleati ricordando a ogni piè sospinto la propria diversità.
«Da noi sulle liste ci si dorme sopra», è stato il commento canzonatorio del ministro Roberto Calderoli. Frecciatine che sono state accolte con forte disappunto dagli azzurri, assai irritati dalle lezioni "elettorali" dal Carroccio. «La Lega - ha ribattuto La Russa in un'intervista a Repubblica - ci aveva garantito 500 firme a sostegno del listino di Roberto Formigoni. Invece si sono presentati alle due di notte con 300 firme di cui solo 30 autenticate». In serata, però, dopo la notizia dell'esclusione di Formigoni il ministro lumbard lancia una sponda agli alleati: «Voglio sentire al più presto Bossi e Berlusconi e poi decideremo perchè serve subito una risposta politica ai furbi che cercano le vittorie a tavolino».
Il Pdl dovrà quindi rivolgersi alla giustizia amministrativa per tentare di salvare la partita. A Milano la corsa di Formigoni doveva essere una tranquilla passeggiata verso il quarto mandato e invece ora il governatore rischia di rimanere fermo sulla linea di partenza. A Roma, invece, ci sono in ballo gli 80mila consensi che sarebbero in grado di raccogliere i 41 nomi al momento esclusi. In entrambe le piazze, però, c'è soprattutto in gioco la credibilità dell'intero partito. Per il quale la consultazione di fine marzo avrebbe dovuto rappresentare il banco di prova vincente dopo la fusione di An e Forza Italia di un anno fa. Ora, invece, il test elettorale rischia di trasformarsi in un redde rationem generale che potrebbe lasciare parecchie vittime sul campo di battaglia.