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Giarda: «Il commissario? Scelta dura, ma è il male minore»

di Giovanni Negri

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2 Marzo 2010

«Una misura che certo può avere un impatto rilevante sui corsi azionari di una società, ma che va considerata come sostitutiva di una ancora più grave, il blocco dell'attività». A poche ore dalla decisione del Gip sul commissariamento di Fastweb e Telecom Sparkle, Angelo Giarda, docente di Procedura penale alla Cattolica di Milano, avvocato, tra gli altri, di Alberto Stasi e di Saipem in un procedimento che pochi giorni fa ha visto accolte dal Riesame le ragioni della difesa che sosteneva l'impossibilità di applicare le misure interdittive del decreto 231 alla corruzione internazionale (Saipem avrebbe, secondo l'accusa, versato cospicue tangenti al Governo della Nigeria in cambio di appalti), fa il punto sugli scenari possibili.

Professor Giarda come valuta il fatto che una società quotata per la prima volta potrebbe essere commissariata, sottraendo agli azionisti il potere di nominare gli amministratori?

Certo si tratta di una misura grave. Con effetti indubbi sull'andamento del titolo e, in prospettiva, sulla disponibilità dall'estero a investire in Italia. Va fatta però anche un'altra considerazione: il commissariamento costituisce una misura sostitutiva e meno severa rispetto alla richiesta di interdizione dall'esercizio dell'attività che il Pm aveva chiesto. Il commissariamento consente comunque alla società di non fermarsi, a patto che svolga un pubblico servizio, la cui interruzione provocherebbe gravi danni alla collettività, oppure quando a rischio ci sarebbero parecchi posti di lavoro. L'intenzione della norma è allora quella di assicurare la continuità d'impresa e non di deprimerla, quand'anche gli amministratori siano sospettati di gravi reati.

Cosa pensa però professore di una misura come il blocco dell'attività che può avere conseguenze irreparabili per l'impresa?

Si tratta di una misura che può essere paragonata, per gravità, alla carcerazione preventiva decisa nei confronti di una persona fisica. Non c'è dubbio, l'afflittività è la stessa, al di là delle sofisticazioni sulla natura penale o amministrativa della responsabilità dell'ente. Però, attenzione: anche in questo caso la misura può essere giustificata dalla gravità del reato per cui l'autorità giudiziaria procede. Tenga conto poi che, a differenza di quanto avviene per gli indagati persone fisiche, la misura nei confronti della società può essere presa solo dopo avere sentito la difesa che avrà modo di fare valere, come avverrà oggi davanti al Gip di Roma, le proprie ragioni.

E in termini generali il decreto 231 si sta rivelando un'arma efficace nei confronti della criminalità economico finanziaria?

Forse sì. Ma sono lo stesso preoccupato. L'allungamento costante e irreversibile della lista dei reati presupposto (quegli illeciti commessi da dipendenti per quali può essere chiamata in causa la società, ndr) potrebbe, se venissero compresi anche i reati ambientali e quelli tributari, provocare contraccolpi mortali al sistema impresa. Non voglio certo fare un'apologia di reato, ma solo sottolineare la scarsa capacità di gestione da parte del sistema. Bisognerebbe, piuttosto che estendere l'elenco dei reati, fare un'opera quasi pedagogica nei confronti del sistema imprenditoriale e, in questo, un ruolo chiave l'hanno senza dubbio le associazioni di categoria come Confindustria.

Ma in questa direzione non dovrebbero andare anche i modelli?

È vero, ma purtroppo anche sui modelli gli equivoci sono tanti. Si tende troppo spesso a pensare che siano una semplice duplicazione o sovrapposizione rispetto a quanto già esiste sul fronte dei controlli, in termini di internal audit, di revisione, di sindaci. Invece si tratta di qualcosa di molto diverso, con lo scopo preciso di evitare la commissione di alcuni tipi specifici di reato da parte dei dipendenti. Ancora adesso, anche tra imprese di una certa dimensione, la sensibilità per l'adozione dei modelli non è certo diffusa e, spesso, anche quelli realizzati sono discutibili. Basti pensare all'affidamento dell'organismo di vigilanza a soggetti interni, confondendo la figura dei controllati con quelli del controllore. In genere l'adozione scatta dopo la contestazione dei reati, per ridurre le sanzioni inflitte o in arrivo.

Non dipende anche dalla diffidenza verso il proliferare delle figure di controllo?

Può darsi. Non si capisce però che il controllo sulla base del decreto 231 non ha la funzione di ingerirsi nelle scelte amministrative delle società, che restano di competenza dei manager, ma di verificare la trasparenza delle procedure interne.

2 Marzo 2010
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