Alla data del 2015 Milano probabilmente non avrà compiuto il processo di trasformazione urbana teso a reificare il passaggio della stessa da città industriale a città post-industriale avviato negli anni '80. La lentezza dei processi attuativi, le turbolenze amministrative, le incertezze negli indirizzi, l'emergere di nuovi fabbisogni, modelli comportamentali e stili di vita, l'irrompere della crisi economico-finanziaria, hanno nel corso di questi tre decenni portato ad una geografia della trasformazione urbana molto articolata e complessa.
La sfida sul piano dell'"architettura urbana" si giocherà sul terreno del modello insediativo metropolitano. In ciò sarà vitale la capacità di concepire un modello di sviluppo oppositivo a quello che ha generato la "città continua". Progressivamente negli anni si è imposto il tema della qualità architettonica, cercata attraverso diversificati percorsi, che oggi prospettano esiti molteplici che vanno da processi interrotti (Santa Giulia) ad aspettative senza risposta (Beic, Museo della Cultura Ansaldo), da realizzazioni compiute (Bicocca) a imponenti work in progress (City Life, Porta Nuova), da nuclei fortemente identitari (Portello, Bodio Center) ad aggregati complessi e multiversi (Milano Fiori Nord). Una qualità declinata attraverso percorsi più o meno attenti e coerenti con la cultura del progetto che nel corso del tempo si è reificata nella "scuola milanese" ed i suoi referenti istituzionali: il Politecnico, la Triennale, il Sistema produttivo-industriale legato al fenomeno del design. Una qualità che non ha fino ad oggi prospettato "tradimenti" in relazione al tema dell'urban design ma che, al contrario, ha trovato espressione in "format" che parte della comunità degli addetti ai lavori e parte della società civile hanno ritenuto estranei alla tradizione della città europea e di Milano in particolare. È il caso degli edifici a torre, ad esempio. Chiamarli "grattacieli" è forse inopportuno per le loro, ad oggi, limitate altezze. In realtà tali edifici sono stati progettati in termini di sistema: Porta Nuova, Parco Adriano, il nucleo centrale di City Life, e – nel prossimo futuro – Cascina Merlata e l'Area Stephenson. Si tratta di un linguaggio che propone relazioni e coniugazioni tra attente citazioni alla tradizione colta dell'architettura milanese e sempre più frequenti aperture al sistema globale dei segni che oggi informa il neo "International style". Gli esiti di queste "combinazioni" figurative sono state risolte con maggiore o minore efficacia in funzione della presenza o meno di una regia progettuale e imprenditoriale. In alcuni casi sembra mancare una interlocuzione "locale" robusta per esaltare in direzione di un "globalismo critico" gli exploit progettuali e le professionalità talentuose delle archistar coinvolte nei progetti. Questo è un tema molto delicato e centrale da mettere a fuoco anche per spuntare le armi a chi per pregiudizio si oppone al coinvolgimento di architetti globetrotter nei grandi progetti di trasformazione. Costoro hanno ragione se le cause del coinvolgimento sono di puro marketing e/o dettate da provincialismo culturale e se a tali architetti non viene richiesto un severo confronto con lo specifico del tema progettuale per inconsistenza da parte della committenza. In realtà il salto di scala dei progetti di trasformazione della città ha di fatto creato le condizioni di necessità per fare intervenire nei grandi progetti immensi studi adeguatamente attrezzati ad affrontare gli ingenti impegni progettuali. Pei-Cobb, Foster, Pelli, Kpf, Zaha Hadid, Libeskind, per citarne alcuni, hanno molto da insegnare e da trasmettere al sistema e alla cultura del progetto milanese e, nello stesso tempo, hanno molto da imparare da quest'ultima. La questione sta quindi nella capacità di tenere in equilibrio la difesa dell'identità e la ricerca della differenza, lo scarto virtuoso tra passato e futuro. I progetti in corso sembrano possedere tali virtù: rimettere in gioco il tema della "modernità", tendere verso una diffusa qualità urbana, accostare nuovi simboli a quelli che la storia ci ha trasmesso.