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La politica non trova più le parole

di Alberto Orioli

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26 marzo 2010
Lessico e partiti. La politica non trova più le parole

Il fatto che Gianfranco Pasquino, politologo bolognese, abbia inserito nel suo "Le parole della politica" (il Mulino Contemporanea) anche «paese normale», fa capire quale sia la cifra del suo sforzo divulgativo. La politica, le parole per dirlo, alla fine, le trova sempre. E il messaggio che manda è sempre lo stesso: votami. Solo che c'è modo e modo per convincere i cittadini della bontà delle proprie idee, del proprio programma, della propria storia. E quello italiano, a maggior ragione in queste ore fibrillate di campagna elettorale senza contenuti – sempre la stessa, sempre ansiosa, sempre ritmata dall'apocalisse dello scontro finale tra leader e giudici, tra opposizione e tiranno – non è appunto da "paese normale".

Pasquino ricorre, per togliersi qualche sassolino, all'espressione che Massimo D'Alema usò come titolo al suo libro del '95: dopo aver comparato il sistema italiano a quello delle principali democrazie occidentali, anch'esse difficilmente qualificabili come "normali", il politologo bolognese aggiunge che prima di fare dell'Italia un paese normale bisognerebbe trasformarla in un «paese decente» «che è quello dotato di un partito "democratico e di sinistra" (socialdemocratico?) che non è un dono del cielo, ma il prodotto di uomini e donne che si organizzano e lavorano con pazienza e coesione di intenti. Non mi pare che nell'ultimo decennio D'Alema abbia lavorato con impegno per questo obiettivo».

In queste poche righe è tutto lo spirito del volume: un po' di parte – come ammette lo stesso Pasquino – un po' pamphlet, con il vantaggio competitivo però di apparire come un baedeker neutrale e di servizio ma di essere disseminato di spunti altamente corrosivi e polemici. L'antipolitica, ad esempio – altra parola malata, per citare Alberto Moravia – virus moderno che ha contribuito ad arrugginire il prestigio delle istituzioni altro non è se non un vizio delle politica stessa e sbagliano, sostiene Pasquino, «quelli che votano quanti criticano la politica in nome della società e dell'antipolitica, perché contribuiscono al problema, non alla soluzione». Che è e deve rimanere politica, istituzionale, riformista.

Non poteva mancare l'attacco alla deriva qualunquista, al berlusconismo che comunque sopravviverà al suo inventore, alla degenerazione del "politainment" – soubrette e partiti, paiette e politica – che tra l'altro ha contagiato anche l'opposizione fino a costringerla a logiche prettamente mediatiche come ha dimostrato – è un altro dei graffi dello studioso bolognese – la fragilità del l'entrata in scena (e l'uscita) di Walter Veltroni come leader Pd.

Costituente, bicamerale, bipolarismo, federalismo sono altrettante parole virtuose che rimandano alla politica alta, a stagioni per un verso irripetibili (per Pasquino non ci sarebbe più oggi quell'utile velo d'ignoranza, per dirla con il filosofo John Rawls, che portò alla convergenza di forze opposte nella Costituzione) e a stagioni future tutte da costruire tra mille difficoltà, prima tra tutte quella di non avere una politica strutturata per affrontare argomenti complessi e non semplificabili. Per fare il federalismo – provoca Pasquino – ci vogliono i federalisti, che a suo dire scarseggiano se l'Italia è ancora il paese dei microcomuni che non sono aggregabili e delle gelosie tra regioni e nelle stesse regioni.

Insomma, uno sguardo ironico e disincantato alle trappole verbali (e non solo) che la politica ci propone: come sono ad esempio i richiami ai modelli istituzionali di altri paesi. Alla voce «cancellierato» si comprende come il vagheggiamento della riforma elettorale alla tedesca (proporzionale con sbarramento al 5%) non venga mai accompagnato dal contraltare della sfiducia costruttiva. Alla voce «bipolarismo» si capisce come sia nel Dna degli italiani la logica dell'alternanza che invece viene spesso accreditata come estranea alla nostra tradizione culturale.

Non è chiaro se sia solo acquisizione recente la spinta verso un rafforzamento dei poteri del presidente, ma l'analisi delle parole-chiave «deriva plebiscitaria», «premierato forte» e «presidenza della repubblica» fa capire quali possano essere i pericoli di squilibrio tra poteri se a un irrobustimento dei player dell'esecutivo non corrispondessero contrappesi nei poteri di controllo. Soprattutto perché – vedi alla voce «transizione» – la democrazia italiana è ancora nel mezzo del suo cammino di crescita. E durante il viaggio si fanno anche molti brutti incontri. Se non ci sono le voci «escort» e «trans» forse è solo perché il volume era già chiuso in tipografia.

26 marzo 2010
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