Lo scandalo delle pedofilia nella chiesa è una marea montante che rischia di rappresentare il vero macigno del pontificato di Joseph Ratzinger, al di là della tragicità dei fatti via via rivelati. Benedetto XVI è stato sfiorato dal caso di Monaco, da quello di Ratisbona indirettamente (via fratello Georg) e ora di nuova tirato in ballo per una vicenda americana che mette in primo piano anche il cardinale Bertone.

Vicende che, a leggere bene le carte, sono difficilmente classificabili tra le operazioni di "insabbiamento" ma che oggettivamente non possono neppure iscriversi alla linea "tolleranza zero" che è diventato lo slogan vaticano sugli abusi.

In parte è un po' paradossale che Ratzinger sia messo sulla scena mediatica mondiale – e il New York Times ha di certo questo potere – proprio per gli abusi, vista la mano ferma avuta sin dall'inizio del suo pontificato (emblematico il caso del fondatore dei Legionari di Cristo), di certo più severa di quella del suo predecessore.

Ma tant'è, e ora lo scandalo si globalizza, riaccendendo i riflettori anche sulle possibili ripercussioni in Curia. Già perché una governance abbastanza debole – come evidenziato bene dal caso Williamson di un anno fa – deve dare una risposta forte alle continue emergenze: passi quando le beghe sono più riferite all'Italia (anche se gravi, come il caso Boffo) ma qui è in gioco la presa planetaria della Chiesa, la sua presenza nella società, visto che la pedofilia è un tema che abbraccia la presenza dei bambini, dalle scuole alle parrocchie. Insomma, a fatti eclatanti (con una risonanza che dentro la Chiesa viene vissuta sempre più spesso come un sorta di attacco "laicista") servono gesti simbolici molto forti e concreti.