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«Alla Chiesa non si fanno più sconti, ma forse è un bene». Parla don Antonio, sacerdote in Milano

di Massimo Donaddio

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20 aprile 2010


Sul rapporto tra i giovani del terzo millennio e la fede e sui dati della recentissima ricerca Iard sul tema abbiamo chiesto un'opinione a un sacerdote con vasta esperienza sia di pastorale giovanile sia di formazione del clero. Si tratta di don Antonio Torresin, vicario parrocchiale a San Gabriele in Mater Dei, a Milano, nel complicato quartiere di via Padova.

Don Antonio Torresin, i dati della ricerca Iard sui giovani e la fede mostrano una diminuzione dell'esperienza religiosa nelle giovani generazioni. È anche la sua percezione?
Devo dire di sì, e lo posso riscontrare dal calo della presenza dei giovani nei nostri oratori in Lombardia, soprattutto a Milano, che tradizionalmente anticipa i trend sociali principali. Una sorta di sfaldamento del mondo giovanile, rispetto a come lo avevamo conosciuto nei decenni precedenti, è sotto gli occhi di tutti. Prima l'oratorio era un punto di riferimento per moltissimi giovani, che vi trovavano la possibilità di fare un'esperienza educativa, di volontariato, di preghiera, ecc. Oggi molto meno. Siamo passati, per dirla in termini ecclesiali, da una pastorale giovanile di massa a una situazione in cui ogni giovane deve essere in un qualche modo "conquistato" con una proposta davvero all'altezza. Prima i gruppi giovanili, anche in parrocchia e all'oratorio, erano molti e qualificati; oggi un gruppo giovanile parrocchiale è un'esperienza inconsueta. Il mondo giovanile tende a ritrovarsi più sul web, perdendo punti di riferimento e di appartenenza. Mi spiace davvero dirlo, ma in molte parrocchie un gruppo giovanile non esiste più.

Un fenomeno che notiamo dalla ricerca è una certa polarizzazione del campione: da un lato giovani che, sempre più numerosi, si allontanano dalla fede; dall'altro coetanei che dichiarano di "credere di più" rispetto ad alcuni anni fa. Come se lo spiega?
Oggi una persona, specie un giovane, per dichiararsi praticante deve essere più convinto di un tempo. Però un rischio che scorgo è quello del "tifo", che si viva la fede solo come una questione di identità da preservare e si cada nel fondamentalismo.

Secondo lei siamo di fronte anche a una crisi di fiducia nei confronti della Chiesa?
Credo che in questo momento la Chiesa soffra proprio di un deficit di fiducia, pagando una sorta di conclusione di un'epoca in cui aveva una credibilità fortissima e una sorta di "immunità morale". D'ora in poi sappiamo che non ci saranno più sconti sull'operato della Chiesa, e forse è anche un bene. Alcuni intellettuali parlano a volte di "pregiudizio anticristiano", ma certo la Chiesa corre i rischi tipici di chi ha insegnato per troppo tempo la morale agli altri. Il Vangelo di per sé ci istruisce sulla necessità di non guardare la pagliuzza nell'occhio del vicino se non abbiamo rimosso la trave dal nostro occhio. Per i giovani questo è fondamentale. A volte, anche fra chi vuole difendere la Chiesa, si levano solo acritiche barricate. Ma come in tutte le cose, ciò che davvero conta è l'esperienza personale, l'incontro con persone credibili. Un rischio reale che vedo è che sempre meno persone facciano esperienza di questa Chiesa reale, di cui invece dovremmo parlare di più e tenere presente.

Che ne pensa del caso della pedofilia tra i preti? Ha influito, secondo lei, sull'allontanamento di alcuni giovani dalla fede e dalla Chiesa?
Siamo tutti un po' smarriti per quel che è successo. Io credo che alla Chiesa sia chiesto di guadagnarsi di nuovo la fiducia con sempre maggior trasparenza. Mi interrogo su fatto: come è possibile che un male così spaventoso fosse all'interno della Chiesa senza che ce ne fossimo mai accorti? Come facciamo ad affrontare questo male? Intendiamoci: la pedofilia è una sfida non solo per la Chiesa, ma anche per la società tutta. Dobbiamo tornare a farci delle domande anche sulla attuale concezione della sessualità, che mi sembra sempre più "ferita", frutto di prevaricazioni.

Intanto la distanza tra giovani e Chiesa sui temi morali aumenta…
Sì, qualcuno lo ha chiamato addirittura lo "scisma sotterraneo". E forse è il frutto di una predicazione troppo sbilanciata sui temi morali. I giovani, invece, hanno bisogno di forme argomentative adatte ai tempi e alla cultura in cui vivono. Bisogna parlare il linguaggio condiviso della cultura attuale, altrimenti non si è compresi. E, anche per questo, funziona di più la "chiesa reale", rispetto a quella ufficiale. In questo utilissima è la confessione: si parla, si discute, si mette alla prova la propria libertà.

Un altro aspetto messo in luce dalla ricerca è dato dall'estrema volubilità dei percorsi giovanili, anche in campo religioso.
Sì, eravamo abituati a una pastorale giovanile strutturata. Il giovane di oggi, figlio dell'epoca postmoderna, è quello dell'attimo fuggente, fa fatica a compiere dei percorsi organici. E faticano anche i preti giovani a non cedere del tutto alla logica del "fai da te" e del "faccio e prendo ciò che voglio" che caratterizza molti giovani. La Chiesa però non può non raccogliere sempre di nuovo la sfida di proporre a questi giovani dimensioni oggi quasi ignote: il tempo vissuto come fedeltà, la fede che ti mostra il fascino di qualcosa che dura nel tempo.

  CONTINUA ...»

20 aprile 2010
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