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Cesare Salvi: «Il nodo sono gli enti para-statali e le partecipate»

di Sara Bianchi

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18 maggio 2010
Cesare Salvi: «Il nodo sono gli enti para-statali e le partecipate» (Imagoeconomica)

Cesare Salvi, presidente di Socialismo 2.000, autore con Massimo Villone de "Il costo della democrazia", volume che ha raccontato gli sprechi della politica, ha pochi dubbi: le misure fin qui ipotizzate dal governo su questo fronte produrranno ben pochi risparmi.
«Si tratta di cose che possono avere solo un valore simbolico, perché il nodo vero del problema resta intatto».
Qual è il centro della questione?
È il gran munero di livelli istituzionali che esistono nel nostro paese e il gran numero di persone che vivono di politica, a volte con retribuzioni spropositate. Ciò determina molti sprechi e tagliare in questo campo costituirebbe sicuramente un risparmio significativo, senza contare che la situazione attuale produce anche conseguenze negative sul piano della correttezza e della moralità della vita pubblica, oltre che dell'efficienza del sistema decisionale.
Quanto al nostro sistema istituzionale?
Occorre ridurre i livelli istituzionali, c'è l'annosa questione dell'abolizione delle province. E poi, sempre parlando delle griglie istituzionali, esiste un fittissimo mondo, quello degli enti para- pubblici, delle società partecipate, che sono terreno di parcheggio di personale politico, con costi enormi. Spesso si tratta di figure che non fanno nulla o, se fanno qualcosa, intralciano le capacità decisionali del sistema. Disboscando questi livelli istituzionali si otterrebbe certamente un forte risparmio sui costi della politica, andando a tagliare così in un mondo di persone che vivono sulla base di incarichi politici; in questo modo si otterrebbero nel contempo migliore qualità della politica e maggiore efficienza del sistema. Abolire le province in teoria è un programma di tutti, ma richiede una riforma costituzionale, mentre altri interventi sono possibili con leggi ordinarie. Il problema vero è che la classe politica dovrebbe colpire se medesima, anche nei suoi meccanismo para-clientelari.
Torniamo alla questione posta in precedenza: troppi vivono solo di politica?
Massimo Villone e io, nel nostro libro sui costi della politica, facemmo un conteggio statistico, seppur riduttivo (perché riguardò soltanto un numero di posti limitato che riuscimmo a censire) fortemente indicativo. Arrivammo alla cifra di 427.000 posti considerati: 149.000 tra incarichi elettivi, 278.000 compresi tra incarichi e consulenze. Sono numeri impressionanti e questo dimostra che c'è una possibilità di sfoltimento veramente significativa. Mi domando se anche i partiti non debbano fare alcune riflessioni, credo che anche il sistema del finanziamento dei partiti richiederebbe un'intervento.
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha definito «non normale» il fatto che a Montecitorio accade sempre più frequentemente che ci siano solo due giorni di voto a settimana.
Questo dipende dal meccanismo del voto di fiducia e da questa interpretazione italiana del bipolarismo, vissuto come scontro fra blocchi. Tutto ciò determina un sostanziale sfondamento dei lavori parlamentari, perché sempre più spesso sulle cose importante decide solo il governo, mentre i parlamentari passano il tempo in attesa del maxiemendamento di fiducia. Il parlamento è pletorico, il bicameralismo va rivisto, ma attenzione a non concentrare la polemica sull'istituzione parlamento, non sarebbe la strada giusta.

18 maggio 2010
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