«Da giovane andavo con il phon nei boschi per scongelare i trasmettitori televisivi». Paolo Romani, fino a oggi viceministro delle comunicazioni, "sin da piccolo" si occupa di emittenza radiotelevisiva. Comincia nel 1974 con TeleLivorno, poi passa a lavorare con l'editore Alberto Peruzzo a Rete A. Dall'86 al 90 è amministratore delegato di Telelombardia, poi coinvolta da un fallimento.
Dal 1994 viene nominato deputato e dal 1998 al 2005 è coordinatore regionale di Forza Italia per la Lombardia. E stato, tra l'altro, presidente della IX Commissione della Camera su Trasporti, Poste e Telecomunicazioni dal giugno 2001. Dopo essere stato per due volte sottosegretario alle Comunicazioni, è nominato viceministro nel maggio 2009.
Ha chiuso ieri la quinta Conferenza Nazionale sul digitale terrestre parlando senza peli sulla lingua: o le televisioni investono sulla capacità assegnata (gratuitamente) agli operatori nazionali e locali, sfruttando tutta la banda, al contrario di quanto avviene nel Lazio, nel Piemonte Occidentale, in Sardegna e nelle altre aree digitali, oppure sarà difficile difendere davanti alla Ue la mancanza di un dividendo digitale costituito da frequenze tv in eccesso da dedicare alla banda larga mobile. Dà invece una sponda alle tv locali contro il nuovo Piano dell'AGCOM.

Non ha esitato a precipitarsi a Bruxelles per convincere la direzione alla concorrenza comunitaria a non concedere a Sky una riduzione degli obblighi contratti sino al 31 dicembre 2011. «Ho rappresentato gli interessi dell'intero sistema tv, non quelli di Mediaset» ha detto ieri dal palco del Teatro Dal Verme e può giustamente rivendicare la soluzione del caso Europa 7, per il quale è stata importante la vecchia amicizia con Francesco Di Stefano, da pionieri della tv commerciale.
Se sarà il nuovo ministro delle Sviluppo Economico porterà in dote la profonda conoscenza dell'apparato dell'industria elettronica, informatica e delle telecomunicazioni. Senza mai perdere d'oc chio le "sue" televisioni.

 

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