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Che fine ha fatto l'emergenza
petrolio nel fiume Lambro?

di Andrea Franceschi

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6 maggio 2010
Che fine ha fatto l'emergenza petrolio nel fiume Lambro?

Il disastro ambientale nel golfo del Messico ha fatto tornare in mente a molti un incidente che, seppur in scala decisamente minore, è avvenuto dalle nostre parti. Stiamo parlando dello sversamento di petrolio nel fiume Lambro avvenuto a fine febbraio. Ignoti sabotatori aprirono i rubinetti delle cisterne della Lombarda petroli di Villasanta, in provincia di Monza, provocando la fuoriuscita di tonnellate di gasolio. Un'onda nera finì nel fiume Lambro e di qui nel Po, di cui è affluente. Ma raggiunse solo limitatamente l'Adriatico, perché i volontari della Protezione civile riuscirono a fermarla all'isola Serafini, nel piacentino. Allora si parlò di un disastro ecologico dalle conseguenze devastanti per l'ecosistema, oltre che per l'economia della zona. Una volta finita l'emergenza e spenti i riflettori dei media, come spesso accade nel nostro Paese, non se ne parlò più. A due mesi di distanza, però, non è ancora chiaro quale sia stato il reale impatto (ambientale ed economico) del disastro.

«Siamo tornati a una situazione di normalità solo apparente» spiega Andrea Agabito, responsabile del programma acque del Wwf. «La macchia di petrolio è sparita. Ma di fatto gli sversamenti di sostanze inquinanti sono durati fino a pochi giorni fa. Solo da poco infatti è rientrato in funzione il depuratore di Monza, messo fuori uso dal gasolio uscito dalle cisterne della Lombarda petroli. Questo significa che per due mesi i liquami della Brianza sono finiti nelle acque del Po e di qui nell'Adriatico».

Le analisi delle acque condotte dalle Arpa (Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente) fanno stare tranquilli: la concentrazione di inquinanti nel fiume si è ridotta notevolmente. Ma questo dato, denuncia l'associazione ambientalista, non è indicativo. Ciò che serve è un'analisi dei sedimenti delle sponde del fiume. È da qui che le sostanze tossiche si diffondono su tutta la catena alimentare. Il meccanismo è semplice: gli inquinanti si infiltrano nei terreni e contaminando le piante. Di qui il contagio passa agli insetti e ad altri invertebrati di cui si cibano i pesci che a loro volta sono preda di uccelli. Le Arpa (Agenzie regionali protezione ambiente) per ora hanno fatto i campionamenti ma non hanno ancora diffuso i risultati delle analisi.

La denuncia del Wwf è chiara: quella del Lambro è un'emergenza dimenticata e le risorse messe in campo per affrontarla non sono adeguate. Nei mesi scorsi infatti la Protezione civile aveva annunciato un'ordinanza che prevedeva lo stanziamento di 12 milioni di euro: 10 a titolo di rimborso per le spese sostenute dalle Arpa, dai comuni e dalle sezioni locali della Protezione civile e 2 per avviare un piano di bonifica dei siti inquinati. Quest'ordinanza però è ferma al ministero dell'Economia in attesa del via libera.

Le uniche risorse le ha messe sul piatto il ministero dell'Ambiente: 700mila euro destinati l'Autorità Bacino Fiume Po. Questi soldi serviranno a finanziare un piano per verificare il «bioaccumulo» su flora e fauna. In parole povere per controllare che il gasolio sversato nel Lambro non abbia avvelenato i pesci, gli uccelli e le piante del Po. Il piano, però, è ancora «in fase di predisposizione». «Tutte le istituzioni sono scese in campo e si sono impegnate per far fronte a questa situazione - assicura Francesco Puma, dirigente dell'autorità Bacino Fiume Po - e se non abbiamo ancora diffuso i dati è per prudenza. Non dimentichiamoci che sulla questione sta indagando la magistratura».

6 maggio 2010
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