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Il mare nostrum è malato di petrolio, altro che Louisiana

di Michela Finizio

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6 maggio 2010
Petroliere nel Mediterraneo (Corbis)

A guardarlo dal satellite, il nostro mare sembra un grande malato. Con numerose chiazze qua e là, affetto da una specie di morbillo, però a base di petrolio. A fare la diagnosi è l'Agenzia spaziale italiana insieme al Cnr grazie al nuovo sistema di monitoraggio "Primi", un progetto pilota per il controllo dell'inquinamento marino da idrocarburi mai tanto attuale ora che il mondo guarda al disastro ambientale causato da una piattaforma Bp nel Golfo del Messico.

«Ogni giorno rileviamo degli sversamenti di petrolio nei mari italiani – afferma Rosalia Santoleri, ricercatrice responsabile del progetto -. Il nostro sistema è ancora in corso di validazione, ma da circa un anno e mezzo ogni giorno emettiamo dei bollettini che inviamo al ministero dell'Ambiente». Nella giornata del 6 maggio, ad esempio, il sistema ha rilevato tre macchie a circa 40/50 chilometri dalle coste della Puglia e della Calabria: la prima più piccola di circa 4 chilometri quadrati, la seconda di 7 e la terza di 13. «Le dimensioni sono più o meno sempre di questo calibro e di solito si estinguono con il passare del tempo, ma il problema è che queste macchie non dovrebbero proprio esserci – aggiunge la ricercatrice -. Questi fenomeni sono di solito dovuti a scarichi illegali prodotti dal lavaggio di cisterne lungo le rotte principali delle petroliere». Il Mediterraneo è attraversato quotidianamente da queste navi e questi sversamenti illegali continuano a rappresentare una grave minaccia per l'ecosistema marino, specie per gli ambienti costieri.

«Il sistema messo a punto valorizza le immagini radar ottenute dai tre satelliti italiani della nostra costellazione Cosmo Skymed», afferma Enrico Saggese, presidente dell'Agenzia. Da queste fotografie è possibile analizzare le rugosità presenti nella superficie del mare, e quindi individuare le macchie. La verifica del reale quantitativo di idrocarburi che formano la macchia ancora non è possibile: si tratta di un procedimento complesso e per il momento il sistema riesce solamente a rilevare la superficie, la conformità di spessore e la forma. «Per il momento stiamo testando il sistema nel sud dell'Adriatico, nell'area del canale di Otranto e di Sicilia – aggiunge Rosalia Santoleri -. Abbiamo anche fatto dei sopralluoghi con le nostre navi per verificare che non si trattasse di falsi allarmi e, possiamo dire, che su otto macchie rilevate durante l'esperimento di validazione tutte sono risultate veritiere».

In Europa esistono anche altri centri di ricerca, legati all'Agenzia europea per la sicurezza ambientale, in grado di fornire questi monitoraggi, ma «si basano solo su dati a microoonde, mentre noi utilizziamo un sistema integrato di più satelliti con una copertura maggiore», spiegano dal Cnr. In futuro Primi sarà in grado di fornire delle statistiche ogni poche ore, dei rapporti in grado di prevedere sia lo spostamento sia l'evoluzione nel tempo delle macchie. «Non è fantascienza pensare che un domani questi dati possano essere incrociati con quelli delle rotte petrolifere per riuscire a individuare i responsabili di questi disastri ambientali», conclude la Santoleri.

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6 maggio 2010
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