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Attentato a Rawalpindi, Musharraf l'obiettivo

di Marco Masciaga

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31 Ottobre 2007

Un nuovo attentato suicida e una dura presa di posizione della Corte suprema hanno riportato ieri il presidente pakistano Pervez Musharraf al centro della campagna elettorale più violenta e convulsa della storia del Pakistan. In mattinata, un attentatore suicida si è fatto esplodere a pochi chilometri dalla residenza ufficiale del generale, a Rawalpindi, uccidendo sette persone; in serata il più alto organo giurisdizionale del Paese ha ribadito il diritto a tornare in patria di Nawaz Sharif, l'ex primo ministro che si candida a diventare il principale avversario di Musharraf nelle elezioni politiche in programma entro il 15 gennaio.
L'attentato di ieri ha ricordato al generale, salito al potere otto anni fa, che gli estremisti islamici, che stanno "talebanizzando" con la forza il Nord-ovest del Paese, sono in grado di colpire anche nei grandi centri urbani e che l'ex primo ministro Benazir Bhutto, sfuggita il 18 ottobre a un attacco costato la vita a 145 persone, non è l'unico bersaglio. Lo stesso Musharraf, negli ultimi quattro anni è scampato ad almeno tre attentati, tutti a Rawalpindi, dove ha sede il comando delle Forze armate. Il più recente risale a luglio, quando un aereo con a bordo il presidente fu sfiorato in fase di decollo da alcuni colpi d'artiglieria.
L'attentatore suicida di ieri è stato fermato a uno dei posti di blocco che circondano Army House, residenza di Musharraf, che è anche capo delle Forze armate. Il kamikaze, però, è riuscito a farsi saltare in aria prima che i militari di guardia potessero neutralizzarlo. L'esplosione ha investito tre soldati e un bus con a bordo donne e bambini. Il presidente è nel mirino degli estremisti islamici da quando, dopo l'11 settembre ha schierato il proprio Paese, abitato al 96% da musulmani, con gli Stati Uniti. Nei primi 10 mesi del 2007, il terrorismo ha fatto in Pakistan oltre 2mila vittime, 600 in più che in tutto il 2006 e quasi cinque volte i morti dell'anno precedente.
Poche ore dopo l'attentato, la marcia verso il voto ha registrato un nuovo colpo di scena, quando la Corte suprema ha confermato che Sharif ha diritto di tornare in Pakistan. L'ex primo ministro, forte di un pronunciamento della Corte, era rientrato a Islamabad il 10 settembre, dopo sette anni di esilio, ma nel giro di poche ore era stato illegalmente deportato in Arabia Saudita.
Ieri, Iftikhar Chaudhry, il giudice uscito vincitore pochi mesi fa da un braccio di ferro con Musharraf, ha aggiornato all'8 novembre il procedimento contro il Governo, sottolineando che la decisione che sanciva il diritto di Sharif a tornare in patria resta valido e va applicato. Venerdì, la Corte suprema potrebbe esprimersi su un'altra vicenda che riguarda il futuro politico di Musharraf: gli appelli contro la sua recente rielezione alla presidenza del Paese mentre, in contrasto con il dettato costituzionale, ricopriva il ruolo di capo delle Forze armate.
Sempre ieri, Bhutto ha annunciato che, nonostante l'attentato, il 9 novembre andrà a Rawalpindi in campagna elettorale.

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