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Musharraf presidente «congelato»

di Alberto Negri

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7 Ottobre 2007

ISLAMABAD. Dal nostro inviato
Sugli schermi della tv, l'espressione ombrosa di Pervez Musharraf mostra l'autunno di un generale che non è riuscito a diventare, come lui aspirava, un patriarca, un padre della patria, del Pakistan fondato con la spartizione dell'India britannica nel '47 da Alì Jinnah, il Qaid Azzam, la Grande Guida. La sua rielezione alla presidenza appare una vittoria scontata e dal sapore amaro: Musharraf è apparso in abiti civili, in camicia e senza cravatta, per lanciare un appello alla riconciliazione nazionale con un tono dimesso, quasi a capo chino. «Abbasso la testa davanti a Dio per avermi concesso una vittoria così grande», sono state le sue parole raccolte in una conferenza stampa ristretta ai media governativi. Per poi rinnovare l'offerta di «riconciliazione nazionale a tutti i partiti».
Musharraf dovrà attendere il 17 ottobre il verdetto della Corte suprema sulla costituzionalità della sua candidatura per avere la proclamazione ufficiale. Si aggiunge altra incertezza alla crisi, ma una sentenza che ribalti clamorosamente il risultato delle urne sembra improbabile. Tra dieci giorni i riflettori saranno già tutti puntati sul trionfale ritorno in patria dell'esiliata Benazir Bhutto, che con un accordo faticosamente raggiunto in questi giorni si prepara a spartire il potere con il generale autore del colpo di Stato del '99. Musharraf ha ottenuto dal collegio elettorale, composto da deputati, senatori e rappresentanti dei consigli provinciali, 671 voti lasciando le briciole al concorrente Wajihuddin Amal, un giudice in pensione. Alle urne, collocate oltre che all'Assemblea nazionale di Islambad anche a Karachi, Quetta e Peshawar, teatro di violenti scontri tra manifestanti anti Musharraf e polizia, si sono presentati in 685 sui 1.170 aventi diritto: una truppa falcidiata da dimissioni, boicottaggi e astensionsimo dei partiti dell'opposizione, in primo luogo della Lega dei Musulmani di Nawaz Sharif e del Partito popolare di Benazir Bhutto.
Gli uomini del presidente fanno quadrato: «Musharraf avrebbe vinto comunque anche con tutta l'opposizione in aula: la sua è un'affermazione meritata, pienamente legale e di grande valore morale», proclama il ministro degli Affari religiosi, Muhammad Ijaz ul Haq: il suo è il volto familiare di un fondamentalista per nulla riluttante a fare dichiarazioni roboanti e pericolose. È il figlio del generale Zia ul Haq, che con il colpo di Stato del '77 fece impiccare il primo ministro Zulfikar Alì Bhutto, padre di Benazir, e aprì le stanze del potere agli integralisti islamici per sostenere la guerra anti sovietica in Afghanistan. «Se qualcuno commette un attentato suicida per proteggere l'onore del Profeta Maometto è giustificato», ha dichiarato qualche tempo fa Muhammad, quando la Gran Bretagna ha conferito il titolo di cavaliere a Salman Rushdie, l'autore dei Versetti Satanici.
Questo Musharraf dimezzato nei poteri dovrebbe comunque sopravvivere a se stesso e ai suoi ministri quando verranno indette le elezioni politiche generali, previste in gennaio. «I giudici non prenderanno decisioni destabilizzanti», afferma con sicurezza dice Zahid Hussein, 55 anni, autore del libro del momento: "Il Pakistan sulla linea del fronte". «Il Paese - dice Zahid - non è sull'orlo dell'esplosione, ma c'è un pericolo reale di frammentazione, perché i radicali islamici controllano nelle aeree tribali una zona strategica ai confini con l'Afghanistan».
Il potere di Musharraf viene dalle Forze armate, dall'istituzione più influente e organizzata. «Anche se indebolito - continua Zhaid - Musharraf non è poi così vulnerabile. Il 15 novembre, come ha promesso, dovrà togliersi la divisa, la sua seconda pelle, come lui la definisce, ma resta pur sempre un militare e si è preparato il terreno nominando sia il nuovo capo delle Forze armate che dell'Isi, i servizi segreti militari».
Sono stati i militari e gli Stati Uniti a esercitare forti pressioni perché si accordasse con la Bhutto e facesse rientrare i civili al Governo. Le Forze armate erano preoccupate del forte calo della sua popolarità, diventato evidente quando le piazze si sono riempite di manifestanti per i suoi attacchi alla Corte suprema, all'Associazione degli avvocati e alle organizzazioni della società civile. Poi in luglio c'è stata la battaglia alla Moschea rossa a Islambad dove sono state massacrate 120 persone e ucciso uno dei capi integralisti: lo scontro con i radicali islamici è arrivato in una fase in cui l'esercito pakistano è impegnato nella battaglia contro i talebani ai confini con l'Afghanistan. Le Forze armate, che ricevono da Washington un miliardo di dollari all'anno di aiuti, hanno bisogno di rafforzare la loro immagine per condurre un'azione efficace contro i combattenti islamici: l'opinione pubblica è decisamente diffidente nei confronti dell'alleanza con gli americani nella guerra al terrorismo.
Nelle aree tribali avanza la talebanizzazione con una nuova generazione di integralisti pakistani allevati nelle scuole religiose e l'esercito di fatto non controlla un terzo del Paese nella North West Frontier, in Waziristan e Baluchistan. Dall'inizio di quest'anno sono stati uccisi nelle aeree tribali 300 soldati, ci sono stati 37 attacchi di kamikaze, i gruppi armati sono arrivati a prendere in ostaggio 240 militari: questi eventi hanno scosso la fiducia anche degli ambienti economici e imprenditoriali che avevano beneficiato dell'ascesa di Musharraf.
Non bisogna dimenticare che il generale era arrivato al potere con un Paese indebitato fino al collo, sull'orlo della bancarotta: il Pakistan ne è uscito fuori anche per merito dell'11 settembre, quando, in cambio dello schieramento con gli americani, ha beneficiato di un sostanzioso pacchetto finanziario di salvataggio. In questi sei anni l'economia ha messo a segno una crescita notevole del 7-8% l'anno, l'indice del mercato azionario di Karachi ha guadagnato nel 2006-2007 il 30% e si è registrata anche l'affermazione di una classe media sempre più votata ai consumi. Naturalmente c'è un'altra faccia della medaglia: nonostante i successi finanziari, il Pakistan resta un Paese con un crescente divario tra ricchi e poveri e una forte disoccupazione. «Questa – dice Zhaid - rimane una società divisa in due: ci sono quelli che accendono l'aria condizionata e quelli che non hanno mai visto l'elettricità in casa».

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