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Onu: nessuno rispetta Kyoto

di Piero Fornara

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27 novembre 2007
Rapporto sullo sviluppo umano 2007-2008

«I Paesi industrializzati non stanno rispettanndo gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra adottati nel quadro del Protocollo di Kyoto»: lo afferma il rapporto annuale pubblicato martedì 27 novembre dall'Undp (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano). Il rapporto chiede un'azione urgente per allineare le politiche energetiche all'obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra dell'80% entro il 2050.

Mentre i governi si preparano a riunirsi dal 3 al 14 dicembre a Bali, in Indonesia, per negoziare l'accordo che darà seguito all'attuale Protocollo, l'Undp nel suo studio intitolato «Fighting climate change» fa notare che la maggioranza dei Paesi Ocse sono in ritardo rispetto agli impegni assunti e sottolinea la discrepanza tra gli obiettivi fissati a livello politico per ridurre le emissioni di gas serra e le politiche energetiche attuali in molti Paesi dell'Unione europea. Gli autori del rapporto sostengono che i Paesi ricchi stanno alimentando una crisi del debito ecologico che si ripercuoterà nel modo più immediato e profondo sui poveri del mondo. Sebbene i Paesi in via di sviluppo rappresentino una quota crescente delle emissioni globali, i Paesi ricchi rimangono i principali responsabili dell'accumulo del debito di carbonio. Il Rapporto lo dimostra facendo notare che, se ogni povero sul pianeta generasse le stesse emissioni di un europeo medio, servirebbero quattro pianeti per far fronte all'inquinamento, cifra che sale a sette, se si considerano le emissioni di un australiano medio, e a nove per quelle di un nordamericano o un canadese.

«Nel negoziare il quadro post-2012 che darà seguito al Protocollo di Kyoto, i governi dei Paesi ricchi dovranno assumere un ruolo guida e adottare obiettivi nazionali credibili e coerenti con un accordo multilaterale che stabilisca un bilancio globale del carbonio», afferma Kevin Watkins, direttore dell'ufficio per il Rapporto sullo sviluppo umano. «Non abbiamo bisogno di comunicati che ci ricordino che abbiamo un problema urgente, servono soluzioni e iniziative pratiche per ridurre le emissioni». Francia, Germania, Giappone e Gran Bretagna hanno ottenuto modeste riduzioni delle emissioni, ma il Rapporto segnala che, secondo le tendenze attuali, i Paesi ricchi nel loro insieme sono ben lontani dal conseguire i loro obiettivi di riduzione delle emissioni nel 2012.

Il Rapporto critica gli Stati Uniti, che non hanno fissato obiettivi di riduzione delle emissioni a livello federale, mentre dà risalto al ruolo guida assunto da alcuni Stati e città Usa, come la California e New York. Riguardo all'Unione europea, viene accolto con favore l'obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni del 30 % entro il 2020, ma si sottolinea l'ampio divario esistente tra gli impegni e le politiche, oltre alla mancanza di coerenza tra il sistema per lo scambio di quote di emissioni della Ue (European Union Emissions Trading Scheme) e l'obiettivo relativo ai cambiamenti climatici.

Il Rapporto chiede infine un investimento annuale di almeno 86 miliardi di dollari entro il 2015, pari allo 0,2% del Pil aggregato dei Paesi del Nord del mondo, per l'immunizzazione delle infrastrutture dagli effetti del clima e lo sviluppo di capacità di resistenza e recupero tra la popolazione povera contro gli effetti dei cambiamenti climatici. Contestualizzando questa cifra , si afferma che «in totale i Paesi sviluppati dovrebbero mobilizzare all'incirca un decimo di ciò che attualmente stanziano per la spesa militare». Affrontare l'adattamento significa anche salvaguardare le attività esistenti, finanziate a livello internazionale, sensibili ai cambiamenti climatici, quali i progetti nel campo dell'agricoltura e delle risorse idriche.

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