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Gli Usa confermano l'embargo a Cuba anche per il dopo Castro

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20 febbraio 2008

Castro o meno per ora non cambia la politica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. L'uscita di scena dopo quasi mezzo secolo di Fidel Castro non comporterà modifiche all'embargo, «nè ci saranno molto presto», ha annunciato il numero due del Dipartimento di Stato John Negroponte mentre il presidente George W. Bush ha auspicato che il ritiro del leader maximo «apra un periodo di transizione democratica» e che nel paese si tengano libere elezioni per scegliere un successore dopo quasi mezzo secolo di regime comunista. «E quando dico libere, intendo dire veramente libere, non il tipo di elezioni che i fratelli Castro tentano di contrabbandare come vera democrazia», ha detto Bush in una conferenza stampa a Kigali, in Ruanda, dopo essere stato informato dal consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley delle novità da Cuba.
A Washington il portavoce del Dipartimento di Stato ha espresso scetticismo su un cambiamento a breve: «Il cambio della guardia non è significativo in se stesso», ha detto il portavoce Tom Casey parlando di Raul Castro come di un «dittatore a più bassa gradazione alcolica», che «rappresenta la continuazione del regime di Fidel». Il senso che trapela dai commenti dell'amministrazione Bush è che nulla succederà di qui al prossimo gennaio: Bush ha davanti a sè appena undici mesi di mandato; quasi certamente sarà il suo successore a dover pilotare l'eventuale disgelo dei rapporti con l'Isla Bonita.

Quanto ai candidati alla Casa Bianca Barack Obama, che nel passato si era pronunciato a favore dell'eliminazione delle sanzioni economiche imposte dall'amministrazione Bush su Cuba, si è mostrato più cauto, probabilmente perchè con lo sguardo puntato ai cubano-statunitensi della Florida, uno Stato ancora incerto. «Se la leadership cubana comincia ad aprire Cuba verso un significativo cambiamento democratico, gli Stati Uniti devono essere pronti a normalizzare
i rapporti e ad alleggerire l'embargo in piedi da quasi cinquant'anni». Hillary Clinton ha detto che i nuovi leader cubani si troveranno dinanzi una decisione difficile: continuare con le «fallimentari politiche del passato» o compiere «un passo storico e unirsi alla comunità delle nazioni democratiche. I cittadini cubani vogliono cogliere l'opportunità di liberarsi dal peso di questo regime totalitario». John McCain ha sottolineato che la rinuncia di Castro «arriva con quasi
mezzo secolo di ritardo» e comunque «la transizione verso la democrazia è inevitabile: il problema è 'quandò, non 'sè».

Intanto dal Venezuela il presidente Hugo Chavez ha sostenuto che il suo collega
cubano Fidel Castro «non ha rinunciato a nulla» e solamente passerà ad occupare un posto «di avanguardia nella lotta per la rivoluzione in America latina». Inaugurando un ospedale vicino a Caracas, Chavez ha insistito dicendo che «Fidel non rinuncia nè abbandona alcunchè, come lui stesso dice, ma passa solo ad occupare il posto che è il suo nella battaglia della rivoluzione cubana e della rivoluzione in America latina». «Gli uomini come Fidel - ha concluso - sono sempre all'avanguardia e non si ritirano mai». (S.Bio.)

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