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Chi sono gli ultrà nazionalisti |
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21 febbraio 2008
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La Stella Rossa, club calcistico del quale molti dirigenti di recente sono stati arrestati per i legami con la mafia balcanica, è da sempre la squadra più amata e vincente della Serbia. I suoi ultras (che uniti a quelli del Partizan hanno dato il via agli incidenti a Belgrado dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo) ne sono il braccio armato, e non in senso metaforico. La storia della dissoluzione della Jugoslavia, poi trasformatasi in una lunga saga di odio, sangue e guerre in nome del nazionalismo etnico, comincia infatti in occasione di una partita di calcio nel 1990 tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa, con il croato Zvonimir Boban protagonista a tutela dei suoi tifosi contro i poliziotti di Belgrado, poi va avanti di pari passo con l'evoluzione della violenza nel calcio e fra gli hooligans di tutto il paese. Con la conseguente trasformazione dei tifosi, in particolare proprio quelli della Stella Rossa, emblema del nazionalismo serbo, in guerrieri inviati sui campi di battaglia. Tutto era andato verso questa direzione a partire dalla fine degli anni Ottanta e continua negli anni Novanta, tra stragi compiute da bande come le Tigri del Comandante Arkan, ex capotifoso che ha riunito sotto le proprie insegne tutti i compagni di curva («siamo capaci di violenze inaudite»), e vittorie calcistiche come la conquista a Bari, da parte di Savicevic e compagni, della Coppa dei Campioni 1991, battendo ai rigori il Marsiglia allenato da quel Goethals che, scrivono i giornali serbi dell'epoca , «è pieno di cinismo e odia gli jugoslavi». In epoca comunista e di guerra fredda la Stella Rossa era stata la squadra della polizia, mentre gli odiati rivali del Partizan erano sostenuti dall'Esercito. Poi tutto si confonde in nome del nazionalismo e della guerra. Così negli anni '90 gli ultras del calcio guidati da Arkan, che gira per Belgrado a bordo di una Cadillac rosa, diventano le truppe d'assalto più efficaci, in primo piano nella pulizia etnica. Le Tigri di Arkan compiono massacri come quello di Sasina, in Bosnia, dove vengono uccisi tutti gli uomini musulmani della città, mentre il Comandante continua la sua scalata nel mondo del calcio e nel 1996 acquista un club minore, l'Obilic, che porta ai vertici nazionali nel giro di pochi anni. I suoi sostenitori sono quasi tutti veterani para-militari che prima delle partite scortanò gli arbitri spesso puntando armi contro di loro, per far capire che è il caso di essere accondiscendenti. Quando l'Obilic approda in Europa, in Champions, l'Uefa mette al bando la squadra, forse per evitare che si ripeta anche a livello continentale ciò che succede nel campionato serbo (Arkan durante l'intervallo fra il primo e secondo tempo della partite casalinghe della sua squadra faceva irruzione negli spogliatoi della formazione avversaria per sputare verso i giocatori ed insultarli). Nel 2000 Arkan viene ucciso, ma anche dopo la sua fine, e quella dell'Obilic, gli ultras nazionalisti serbi, quelli del «calcio alle estreme conseguenze», continuano ad essere usati per manifestare il volto più duro del nazionalismo (con affissioni, anche nei pressi del Maracanà di Belgrado, di immagini di santi serbi ortodossi e criminali di guerra), distruggere vite, manifestare odio anti-americano e scatenare violenze, come attestato anche dai legami con la mafia balcanica scoperti di recente.
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