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Il presidente colombiano: «Chavez complice di genocidio»

di Roberto Da Rin

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5 marzo 2008
Veicoli in coda al confinte tra Colombia e Venezuela (Foto AP)

Parole di fuoco e nessuna dichiarazione distensiva. Quattrogiorni dopo la morte del leader delle Farc Raul Reyes, ucciso dai militari colombiani, Bogotà, Caracas e Quito sono ben lontane dall'ipotesi di dialogo. L'escalation di tensione continua. Ieri il presidente colombiano Alvaro Uribe ha annunciato il ricorso alla Corte dell'Aja: una denuncia per genocidio nei confronti Hugo Chavez. Che a sua volta ha chiuso le frontiere con la Colombia e accusato il Governo di Uribe di pesanti collusioni con il narcotraffico. L'ecuadoriano Rafael Correa attacca Uribe: «Vuole la guerra, non la pace». E parla dell'incursione di sabato nel suo territorio come di un «precedente nefasto» che peraltro allontana la possibilità" di liberazione di Ingrid Betancourt.
Nessun ottimismo da chi, solo due giorni fa, avanzava l'idea di mediazione. Per il presidente brasiliano Lula non ci sono margini per una soluzione a breve. Ieri la tensione non è stata stemperata neppure dalla comunità internazionale. George Bush ha anzi ribadito l'appoggio degli Stati Uniti alla Colombia e ha parlato di «azioni provocatorie » del Venezuela.
La mossa più audace è stata quella di Uribe che ieri ha dichiarato che «l'ambasciatore colombiano alle Nazioni Unite trascinerà Chavez davanti al Tribunale penale internazionale Hugo Chavez, per sostegno e finanziamento di genocidio ». Uribe ha poi aggiunto che la polizia colombiana è in grado di dimostrare il possesso, da parte delle Farc, di materiale radioattivo.
Da Caracas la controffensiva è stata invece di tipo economico. Il ministro dell'agricoltura venezuelano, Elias Jaua, ha annunciato che il Governo ha deciso la chiusura della frontiera con la Colombia. La misura «non danneggerà i rifornimenti alimentari venezuelani». È la terza misura adottata da Caracas, dopo l'invio di truppe alla frontiera con la Colombia e l'espulsione dell'ambasciatore e del corpo diplomatico colombiano. In questo momento, ha assicurato il ministro, «non dipendiamo assolutamente dalla Colombia», Paese con cui lo scorso anno ha avuto uno scambio commerciale bilaterale di circa sei miliardi di dollari. Fonti di stampa locale riferiscono che blocchi sono già in corso in alcuni punti della frontiera. Sono almeno 600 i camion che non hanno potuto attraversare la frontiera.
La maggior parte degli osservatori internazionali latinoamericani stigmatizza senza riserve l'incursione della Colombia e il colpo inferto alle Farc in una fase di dialogo. Rimarcando tra l'altro le pesanti collusioni di alcuni settori governativi con il narcotraffico. Anche chi non appoggia la linea politica di Chavez, come Michelle Bachelet, non ha esitato a prendere le distanze da Bogotà.
In una giornata in cui si sono susseguiti proclami, accuse e ritorsioni, si sono fatte sentire anche le Farc. Che hanno nominato Joaquim Gomez numero due dell'organizzazione al posto di Reyes che - secondo il comunicato diffuso dai guerriglieri avrebbe dovuto incontrare Nicolas Sarkozy.
Chi invece sperava che il primo passo risolutore arrivasse dal Brasile è stato deluso. Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva si è dichiarato pessimista per «non vedere una soluzione imminente alla crisi». Soprattutto perché «nessuno dei tre Paesi coinvolti vuole tornare indietro su quello che ha fatto ». Il Brasile sta appoggiando il Cile affinchè l'Osa (Organizzazione degli Stati Americani) effettui un'indagine immediata sul luogo del bombardamento di sabato.
Secondo Lula la Colombia ha violato la sovranità dell'Ecuador: «Questo è un dato concreto ammesso dallo stesso presidente colombiano Alvaro Uribe. Da un punto di vista pratico la Colombia avrebbe potuto richiedere all'Ecuador che arrestasse i guerriglieri: ma questo non è successo». Lula ha suggerito la creazione immediata di un Consiglio di difesa sudamericano, le cui decisioni vengano portate dallo stesso Brasile al Consiglio di Sicurezza dell'Onu,nel quale il gigante sudamericano rivendica la partecipazione. «Il Brasile deve stare nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu in nome di questo consiglio - ha affermato - in nome dell'intero continente».

roberto.darin@ilsole24ore.com

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