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Tibet, il Dalai Lama lancia un invito al dialogo

dal nostro corrispondente Luca Vinciguerra

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19 marzo 2008


SHANGHAI – Il Dalai Lama agita un ramoscello d'ulivo verso Pechino, mentre il fronte dei tibetani in esilio si spacca sulla gestione politica della crisi aperta dagli scontri di Lhasa.

Dopo aver dichiarato di essere pronto a dimettersi pur di arrestare la spirale di violenza innescata dalla rivolta anti-cinese, ieri il padre spirituale dei buddisti si è spinto anche oltre, invitando il la Cina a riprendere il dialogo. "Dobbiamo renderci conto che dobbiamo vivere fianco a fianco, e quindi dobbiamo parlarci", ha dichiarato il portavoce del leader tibetano, Tenzin Takhla, da Dharamsala (nel nord dell'India) dove il Dalai Lama vive in esilio dal 1959.

Gli incidenti, in cui hanno perso la vita un centinaio di persone, sono la cartina di tornasole di un diffuso malcontento tra la gente che vive sul Tetto del Mondo. Nonostante l'impulso fornito all'economia locale dagli investimenti cinesi pubblici e privati negli ultimi anni, i tibetani continuano a nutrire un profondo risentimento nei confronti degli Han.

Come se ciò non bastasse, negli ultimi mesi due nuovi fattori hanno soffiato sul fuoco della rivolta popolare. L'avvicinarsi delle Olimpiadi, poiché queste ultime offrono un palcoscenico unico e irripetibile per portare la causa tibetana a conoscenza dell'opinione pubblica internazionale. E l'inflazione galoppante: il drammatico rincaro dei prezzi dei beni alimentari (in particolare della carne di porco e dell'olio vegetale) ha notevolmente peggiorato le condizioni di vita dei più poveri, e in Tibet come in tutto il West cinese i poveri si contano a centinaia di milioni.

In questo quadro, il Dalai Lama ritiene che l'unica via d'uscita per placare i bollori della piazza sia quello di confrontarsi con Pechino. Ma per discutere un tema tanto spinoso, bisogna essere in due. Su questo fronte, una notizia incoraggiante è arrivata ieri sera da Londra. Il primo ministro britannico, Gordon Brown, dopo aver annunciato che incontrerà il Dalai Lama durante la sua prossima visita in Inghilterra, ha detto che "il premier Wen Jiabao mi ha assicurato che la Cina è pronta a riprendere il dialogo con il Dalai Lama, a condizione che quest'ultimo ribadisca di essere contrario all'indipendenza del Tibet e all'uso della violenza".

Ma anche un'eventuale disponibilità del Governo cinese a sedersi al tavolo dei colloqui per trovare una soluzione pacifica della crisi (se Pechino riuscisse nell'operazione, la sua immagine riguadagnerebbe parecchi punti prima delle Olimpiadi) potrebbe non bastare.
Benché ancora ieri il Governo cinese abbia usato parole di fuoco contro il Dalai Lama ("tra e noi e lui è in corso una guerra per la vita o la morte"), negli ultimi giorni il gradimento popolare del premio Nobel per la pace sembra essersi offuscato. I tibetani in esilio, in particolare le fazioni più giovani e battagliere che reclamano la completa indipendenza dalla Cina, non hanno gradito la gestione politica del Dalai Lama della rivolta di Lhasa.

Proprio ieri, la guida spirituale buddista ha incontrato i vertici del Tibetan Youth Congress e di altri gruppi politici radicali per invitarli a mettere fine all'uso della violenza. "Ha cercato si spiegargli la sua posizione e li ha invitati a guardare nel lungo termine", ha spiegato il portavoce del Dalai Lama al termine dei colloqui. Ma le sue parole non sembrano aver convinto più di tanto la base dei puri e duri.

La differenza di vedute non è tanto sull'opportunità di dare seguito alla proteste di piazza, anche perché l'esercito cinese ha occupato Lhasa e, almeno nella capitale, per i tibetani andare nuovamente allo scontro sarebbe una scelta suicida. Il nodo è l'Olimpiade di Pechino: il Dalai Lama è da sempre favorevole ai Giochi, mentre le ali radicali del Governo in esilio sono per la politica del boicottaggio.

I malumori tra i leader tibetani a Dharamsala aprono un inquietante interrogativo sulla rappresentatività effettiva del Dalai Lama: la guida spirituale dei tibetani continua a essere anche la guida politica del Tibet?

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