Le Olimpiadi stanno avendo un effetto paradossale in Cina almeno dal punto di vista dei diritti umani. Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International la situazione, su questo fronte, invece che migliorare starebbe nettamente peggiorando. In un nuovo rapporto diffuso a Hong Kong a dieci giorni dall'inizio dei Giochi, Amnesty afferma che «la Cina é venuta meno alle promesse di migliorare la situazione dei diritti umani, tradendo in questo modo i valori fondamentali dell'Olimpismo». «Continuando a perseguitare e punire chi parla in favore dei diritti umani, le autorità cinesi hanno perso di vista le promesse fatte sette anni fa, al momento dell'assegnazione dei Giochi» ha affermato Roseanne Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International, che chiede la liberazione di tutti gli attivisti in carcere, piena libertà d'informazione per la stampa estera e nazionale e ulteriori progressi verso l'eliminazione della pena di morte.
Il rapporto di Amnesty, "Conto alla rovescia verso le Olimpiadi: le promesse mancate", valuta il comportamento delle autorità cinesi su quattro temi specifici: la persecuzione degli attivisti per i diritti umani, la detenzione senza processo, la censura e la pena di morte. In questi ultimi mesi, la situazione dei diritti umani, secondo Amnesty, sarebbe peggiorata poichè le autorità cinesi hanno imprigionato, posto agli arresti domiciliari o allontanato a forza chi avrebbe potuto minacciare l'immagine di stabilità e armonia che si intende presentare al mondo.
Il presidente del Comitato olimpico internazionale, Jacques Rogge, ha recentemente sostenuto che, grazie alla propria diplomazia silenziosa, il Cio é riuscito a ottenere varie riforme nel campo dei diritti umani, come le nuove norme sulla stampa estera. Amnesty non sembra proprio così ottimista e invita ancora una volta i leader mondiali a prendere pubblicamente posizione in favore dei diritti umani in Cina e appoggiare l'azione degli attivisti, molti dei quali, secondo l'organizzazione, «continuano a languire nelle carceri cinesi o sono sottoposti agli arresti domiciliari, oppure sono sorvegliati a vista dalla polizia, che intende impedire loro in ogni modo di disturbare lo svolgimento dei Giochi». La pena di morte resta prevista per 68 reati, compresi crimini di natura economica o connessi alla droga che non comportano il ricorso alla violenza. Le norme provvisorie che avrebbero dovuto garantire più ampia libertà d'informazione per la stampa estera, non sono state del tutto applicate, secondo Amnesty, le cui preoccupazioni cominciano ad essere confermate anche dagli inviati della stampa internazionale presenti sul posto, che lamentano scarso accesso alle informazioni, la difficoltà ad aprire molti siti internet e l'impossibilità di accedere ad altri, considerati scomodi dal regime. Anche la velocità della connessione stessa è un problema, forse causato dai controlli da parte delle centinaia di migliaia di cyber-poliziotti attivi in Cina.
Le autorità cinesi, però, negano ogni addebito e accusano Amnesty di produrre a sua volta informazioni di parte. «Chi conosce la Cina non è d'accordo», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Liu Jianchao. «Spero -ha aggiunto- che Amnesty International si levi le lenti distorte che porta da anni e guardi alla Cina in modo equo ed obiettivo». Pechino protesta che «si usa la questione dei diritti umani per interferire negli affari interni cinesi», e «si ignorano gli importanti sviluppi nella situazione dei diritti umani in Cina e a rifiutare informazioni di carattere tendenzioso». (M. Do.)
