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Barack cerca il rilancio a Denver

di Marco Valsania

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24 agosto 2008
Il candidato alla Casa Bianca Barack Obama e Joe Biden

Il sipario, lunedì, si alza a Denver sulla madre di tutte le Convention. Quello democratico è un Congresso di partito organizzato per fare storia: quattro giorni, decine di discorsi, innumerevoli milioni di dollari di spese e sponsorizzazioni. Ancora: 1.200 feste politiche e ventimila partecipanti assiepati dentro l'arena del Pepsi Center. Per arrivare ai 75mila attesi nella serata finale di giovedì, quando è stato prenotato il gigantesco stadio di football di Invesco Field, con almeno altri venti milioni che dovrebbero seguire l'evento alla tv. Un appuntamento che, dietro alle cifre, vuole cogliere un momento storico: la nomina di Barack Obama, primo afroamericano candidato alla Casa Bianca di un grande partito americano.
Ma la Convention, accanto a consacrazioni e celebrazioni, si propone una missione ben più concreta e dall'esito tutt'altro che scontato: dare al 47enne candidato, ora affiancato dal vice Joe Biden, il palcoscenico per un rilancio della sua corsa elettorale. Una corsa appannata dalla rimonta messa a segno dal rivale repubblicano John McCain, che lo ha appaiato se non superato nei sondaggi attaccando la sua inesperienza nei giorni della crisi tra Georgia e Russia.
Per raggiungere l'obiettivo Denver intende vestire Obama, il senatore dell'Illinois nato alle Hawaii da madre bianca del Kansas e padre africano del Kenya, da «All American», campione e incarnazione del sogno di tutti. Un compito, quello di introdurre definitivamente Obama al Paese profondo dove le tensioni razziali non sono cancellate, che nell'arco della lunga kermesse sarà affidato a una miscela di oratori noti e meno noti - dal ferroviere dell'Indiana Mike Fischer all'ex vicepresidente e premio Nobel Al Gore.
Dietro le quinte si consumerà anche l'ultimo atto d'un dramma politico d'alto bordo, che ha spaccato il partito per mesi e che da solo, se non sarà del tutto sanato, potrebbe costare ai democratici le elezioni: la battaglia tra Obama e Hillary Clinton. L'ex first lady, pur avendo perso la nomination, avrà il raro onore di una "roll call", con il suo nome messo ai voti dei delegati della Convention quale tributo al successo della sua campagna. Ma non è chiaro se questo basterà a persuadere i suoi sostenitori a schierarsi convinti per Obama: sotto i riflettori, per misurare la temperatura delle polemiche, sarà soprattutto il discorso di Hillary, previsto martedì sera e seguito all'indomani da quello del marito Bill.
Gli interventi dei Clinton saranno solo uno dei momenti chiave della Convention. Le giornate saranno suddivise per tematiche che devono far risaltare l'agenda democratica: domani, in apertura, toccherà a «Una nazione», la necessità di ricucire un Paese diviso, con sul palco Nancy Pelosi, presidente della Camera, e Michelle Obama, moglie del candidato. Sarà inoltre la serata di omaggio a Ted Kennedy, il leone liberal colpito da un tumore al cervello ma il cui appoggio a Obama è stato determinante agli inizi della campagna. La presenza di Kennedy è in forse, ma di sicuro sarà trasmesso un suo intervento registrato. La seconda serata è dedicata al «Rinnovamento della promessa americana», con a fianco di Hillary una sfilata di governatori democratici di stati cruciali per le urne di novembre, da Kathleen Sebelius del Kansas a Ted Strickland dell'Ohio. Sarà questa la notte del discorso programmatico, affidato al popolare ex governatore della Virginia Mark Warner. Il terzo giorno ruota attorno alla «Sicurezza per il futuro» e con Bill Clinton prevede l'arringa del candidato alla vicepresidenza Biden. Durante la Convention, ai notabili di partito saranno affiancati i discorsi di normali elettori: da Candi Schmieder, mamma dell'Iowa, a Pemella Cash-Roper, disoccupata senza assistenza sanitaria.
Il culmine sarà la notte allo stadio: dopo Al Gore, davanti a decine di migliaia di sostenitori, Obama accetterà la nomination. Una notte che coinciderà con l'anniversario di un'altra svolta per l'America: 45 anni or sono Martin Luther King scosse il Paese con un discorso, «I have e dream», Ho un sogno. Se quella di Obama diventerà più di una coincidenza, se l'America lo eleggerà presidente degli Stati Uniti, la Convention di Denver potrà reclamare e piano diritto il proprio posto negli annali della politica americana.

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