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Gli scontri in India: una questione di religione ma anche di lavoro

di Ugo Tramballi

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26 AGOSTO 2008

E' una questione di controllo delle anime, come in ogni scontro fra religioni. Ma, come sempre accade sottotraccia nelle guerre che pretendono d'interpretare voleri divini, è anche un problema di conquista della mano d'opera. Per questo la convivenza fra maggioranza hinduista e minoranze cristiane è una ferita aperta da quando esiste l'Unione indiana ed é destinata a perdurare anche nel suo futuro economico, per quanto smagliante continuerà ad essere.
In una sintesi fatalmente superficiale di una questione così complessa, esiste uno stretto legame fra il sistema castale e la reincarnazione nella religione induista. Se appartieni a una casta più bassa (ne esistono cinque più circa 2000 sotto-caste) è perché nella vita precedente ti sei comportato male. Se poi sei nel punto più basso di questo sistema socio-religioso, se sei un senza casta , un dalit, cioè un oppresso – fu il Mahatma Gandhi a inventare la bellissima definizione di "figli di Dio", harijan – le colpe nell'altra vita sono state inenarrabili. E' evidente la forza politica, la potenza sociale di un messaggio così: le ingiustizie di questa vita dipendono dal pantheon hindu, non da chi governa; e solo accettandole si può aspirare a una condizione migliore nella vita successiva.
In realtà nel 1950 la Costituzione indiana aveva eliminato la definizione di senza casta e gli ostacoli che impedivano la piena cittadinanza a chi vi apparteneva. Ma nella società indiana, non tanto nelle grandi metropoli dello sviluppo economico quanto nei 500mila villaggi dell'India rurale, i fuori casta restano dei paria.
Ai circa 160 milioni di dalit , più della metà dei quali vive al di sotto del livello di povertà; agli altri milioni d'indiani delle sotto caste e delle minoranze etniche più povere, i cristiani offrono un'opportunità di riscatto individuale in questa vita. E questo significa che i proprietari terrieri, i piccoli imprenditori, i commercianti hindu, perdono il controllo di una mano d'opera a basso costo e ossequiente riguardo alle condizioni e le ore di lavoro quotidiane.
E' questa la ragione principale delle conversioni dei dalit. Il fenomeno sul piano statistico é poco più che insignificante: l'India è e resterà un Paese a grande maggioranza hindu. Il problema, appunto, è più economico che religioso: é grave in Uttar Pradesh, Orissa e Bihar, gli Stati più poveri e più popolosi della cintura gangetica verso Est, dove i cristiani sono pochi; e non lo è nel Kerala o nel Karnataka, gli Stati del Sud più ricchi, dove i cattolici sono invece più numerosi.
E a dispetto dell'insignificanza dei numeri, è anche una questione politica sensibile. L'"hinduità" è un elemento fondamentale del Bjp, il partito nazionalista ora all'opposizione; ma è forte anche fra i socialisti del Congress. Sonia Gandhi, la vedova di Rajiv e presidente del Congress parla sempre poco: mai, tuttavia, ha parlato di religione. Le origini italiane e cattoliche sono sempre state per lei un pericoloso punto debole.

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