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La Crimea ha uno status determinato da complesse vicissitudini: nel 1954 passò dalla Repubblica sovietica russa (RSSFR) all'Ucraina, per volontà dell'allora leader del PCUS Khrusciov, nonostante la prevalenza in essa di russi e russofoni. Quanto a Sebastopoli, un decreto sovietico del 1948 - non abrogato dalla cessione del 1954 – l'aveva posta sotto diretta giurisdizione della RSSFR.
Il "Trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione" del 1997 garantisce l'integrità territoriale e i confini di Russia e Ucraina. Una volta che quel Trattato non sia rinnovato da una delle due parti, quella garanzia può cadere. Crimea e Sebastopoli, magari con referendum, potrebbero rivendicare il loro distacco da Kiev. E generare un processo dalle conseguenze imprevedibili, dal momento che in ben nove regioni ucraine prevale la popolazione russa e russofona. Mosca potrebbe appoggiare rivendicazioni separatiste, in caso di entrata di Kiev nella NATO, del resto mai sopite dopo il crollo dell'URSS.
Mentre la riapertura della Rada si preannuncia all'insegna di un duro scontro politico (e di molteplici divisioni), il sorgere di una questione nazionale ucraina, potrebbe generare ulteriori tensioni. Già lo rilevano articoli apparsi in questi giorni su giornali autorevoli, come ad esempio le "Izvestija".
In questo caso, il teatro del Mar Nero si potrebbe rivelare un nuovo punto caldo dell'area ex-URSS. Ben più pericoloso e critico, per i Paesi e le alleanze che coinvolge, di quanto già si sia rivelato il Caucaso.