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Elezioni Usa, la crisi di Wall Street avvantaggia Obama

dal nostro inviato Mario Margiocco

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24 settembre 2008


Soltanto le elezioni del 68, tomba politica di Lyndon Johnson, offrivano una messe paragonabile di dossier pesanti da usare in campagna elettorale. Allora c'erano storie e storiacce di una guerra non dichiarata, non finanziata, non capita. Questa volta i dossier sono più abbondanti ancora, meno cruenti, ma altrettanto letali. E sono finanziari, soprattutto.
I sondaggi incominciano a dire chiaramente che dovrebbe essere Barack Obama ad avvantaggiarsi dalla crisi di Wall Street (e di Washington), perché considerato più credibile come uomo capace di voltare pagina. Ma la strada è ancora lunga. E anche se il grande ventilatore spargifango ha certamente più munizioni contro i repubblicani, che sono stati i teorici di questa stagione e che avevano le leve dell'esecutivo mentre montava questa marea ("un rischio piuttosto piccolo per il mercato dei mutui", così il repubblicano Greenspan definiva l'indebitamento delle famiglie americane nei suoi ultimi anni alla Fed), i democratici non resteranno certamente puliti.
Due giorni fa il New York Times ha pubblicato una grande foto sorridente di McCain accanto all'allora (2004) presidente della Homeownership Alliance, Ken Guenther, una lobby finanziata da Fannie e Freddie, le due grandi finanziarie semipubbliche nazionalizzate il 7 settembre e cuore del lobbismo a Washington. Predecessore di Guenther era stato, dal 2000 anno di nascita della lobby al 2002, Rick Davis, manager della campagna di McCain nel 2000 e ora nel 2008, che fu pagato per due anni 35mila dollari al mese da Fannie e Freddie, congiuntamente, e poi ricevette 30mila dollari al mese, scrive il New York Times, come lobbista, per altri tre anni.
McCain non fu mai né un acceso critico - al Congresso altri furono molto più duri, soprattutto repubblicani - né un difensore di Fannie e Freddie, che sono all'origine di tutto il disastro di Wall Street. Senza di loro infatti, che acquistavano e cartolarizzavano i mutui dominando il mercato secondario in questo settore e garantendo la liquidità al sistema, il mercato dei mutui non sarebbe cresciuto a dismisura e non sarebbe quindi esploso.
Fannie e Freddie sono state però essenzialmente un feudo democratico, e a cementare la forza anche lobbistica di Fannie fu negli anni 90, come presidente, Jim Johnson, il più potente lobbista del partito democratico, ex manager della campagna di Walter Mondale nel 1984, da sempre a cavallo fra politica, lobbismo e finanza. Saldamente in mano ai democratici prima di Nixon (ma allora Fannie e Freddie non arrivavano all'8% del mercato), le due megafinanziarie sono tornate nell'area democratica con Carter e da allora vi sono sempre rimaste, arrivate a dominare quasi metà dell'enorme mercato dei mutui americano, che vale 12mila miliardi. Nel 2008 hanno acquistato l'80% dei mutui. Nel frattempo si sono riempite di subprime. Quindi, in difficoltà, non hanno più trovato liquidità sui mercati e hanno dovuto essere nazionalizzate. Con un costo probabile, secondo William Poole ex presidente della Fed di St. Louis, di 300 miliardi di dollari.
Hanno sempre avuto, dagli anni 90, in posizioni ben retribuite, anche dei repubblicani, l'attuale presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick fra questi. Per la più grande centrale di lobbismo a Washington era importante avere un tocco bipartisan. McCain, pur non essendo un avversario dichiarato, cofirmò nel gennaio 2005 il progetto di legge 190 del Senato, che chiedeva una più stretta sorveglianza sulle due finanziarie. Fu bloccato in commissione dai democratici, tra i quali il neo senatore Obama, e non arrivò mai in aula. Per questo Fannie e Freddie, in un quadro pessimo e ricco di dossier soprattutto contro i repubblicani, partito al potere, è fra i punti deboli di Obama, soprattutto.

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