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Un'opera ambiziosa ad altissimo rischio

di Roberto Bongiorni

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Giovedí 18 Settembre 2008

Entrambi vogliono aggiudicarsi il progetto. Entrambi considerano il gasdotto trans-sahariano, un'autostrada dell'energia lunga 4.300 chilometri per collegare i giacimenti della Nigeria ai terminali del Mediterraneo, una grande opportunità. La Russia guarda al gas nigeriano come a un efficace strumento per stringere, se necessario, l'assedio energetico sull'Europa, a cui già fornisce un quarto dei suoi consumi di gas.

L'Unione europea a sua volta vede la pipeline come una soluzione per arginare l'impatto di un eventuale ricatto del Cremlino. Al di là dei costi astronomici , la sfida per ingraziarsi il Governo nigeriano, assicurandosi così le riserve di gas e la costruzione del progetto, sembra l'inizio di una lunga partita a scacchi, che potrebbe concludersi anche con un nulla di fatto. I duellanti non sembrano tener conto, o non lo voglion dar a vedere, di una variabile decisiva: gli elevati rischi geopolitici.

Basta osservare il tragitto. La pipeline dovrebbe partire dal Delta del fiume Niger. Di fatto una delle zone più turbolente d'Africa, dove i ribelli del Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (Mend) attaccano ormai con cadenza quotidiana oleodotti, gasdotti, piattaforme. Negli ultimi giorni hanno bloccato altri 150mila barili al giorno di petrolio. Poi dovrebbe continuare nel deserto del Niger, zona in cui i ribelli Tuareg, in guerra con il Governo di Niamey, controllano capillarmente il territorio. Infine proseguire per l'Algeria del Sud, dove le cellule legate ad al–Qaida si muovono a loro piacimento. Il lungo serpente dell'energia appare molto vulnerabile.

«Sarebbe come costruire un gasdotto in Afghanistan. Verrebbe bombardato o attaccato di continuo», ha spiegato Susanne Nies, esperta dell'International Financial Risk Institute. Forse un'esagerazione, anche se nel Delta del Niger, una regione ricca corsi d'acqua e impenetrabili mangrovie, i rischi sono altissimi. Lì si trovano i giacimenti dell'ottavo esportatore mondiale di greggio. Al largo delle sue coste i fondali marini custodiscono le settime riserve di gas del mondo.

Uscito allo scoperto a fine 2005, il Mend ha ridimensionato le ambizioni di tutti. I ribelli esigono che siano gli Stati del Delta, anziché il Governo federale, a gestire le rendite energetiche.Finora hanno rappresentato un ostacolo insormontabile. Solo nel 2007 il Mend ha bloccato circa il 20% della produzione petrolifera. Nel 2008 le cose non sono andate molto meglio. L'ultima dichiarazione di guerra è stata estesa a tutti gli Stati del Delta. Gli scontri con l'esercito non sono mai stati così intensi. E non sono mai stati attaccati così tanti impianti in così pochi giorni (solo ieri è stato colpito l'impianto di pompaggio di Orubiri, della Shell e un oleodotto a Rumuekpe).

Secondo i dati Reuters quasi i due terzi della produzione della Shell a ieri erano fermi. Sarebbe più sensato potenziare gli impianti di gas liquefatto, proteggerli per quanto è possibile e da lì esportarlo, osservano molti analisti. Perché i costi, ma soprattutto i rischi, rendono il gasdotto del Sahara un progetto difficile da tradurre in realtà.

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