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Elezioni Usa: sul voto il rischio della frode

dall'inviato Marco Magrini

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14 Settembre 2008
AP Photo/Matt Sayles

Dubbi sulla democrazia digitale: i sistemi elettronici adottati, spesso a livello di singola contea, non lasciano tracce cartacee che permettano verifiche successive

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«Non credo che ci siano molte probabilità per una deliberata frode elettronica, ma ho testimoniato davanti al Congresso che è tecnicamente possibile», gli fa eco il collega Edward Felten, che abbiamo incontrato a Princeton, dove insegna. Anche lui ha dissezionato due o tre diverse Diebold, giungendo alle medesime conclusioni. «Le macchine Sequoia usate qui nel New Jersey - rincara un altro computer scientist di Princeton, Andrew Appel - possono essere facilmente manipolate da un hacker per ottenere il risultato desiderato, senza possibilità di sapere se il computer conteggia il tuo voto o no. E se un hacker può sostituire pezzi di codice software dentro la macchina, può realizzare una frode elettorale automatizzata», magari controllata a distanza.

Certo, i padri della Costituzione non potevano prevedere il voto elettronico, ma il sistema che prefigurarono, nel nuovo mondo digitale, peggiora. È un'elezione indiretta: i cittadini non eleggono il presidente, ma il Collegio elettorale che lo nominerà. La popolosa California ha in palio 55 voti elettorali, il rarefatto Wyoming tre. Il candidato che arriva a 270 punti, vince un soggiorno di quattro anni nello Studio Ovale. Ma c'è di più. A parte il Maine e il Nebraska, tutti gli altri Stati assegnano la totalità dei voti elettorali al candidato che abbia la maggioranza, anche di un voto solo. Winner-take-all, lo chiamano. Chi vince piglia tutto. Risultato: in un'elezione che si gioca su pochi punti di scarto, la vittoria finale viene decisa in uno o due swing states. Per un'eventuale frode elettronica possono bastare poche mosse. E molto, molto circoscritte.

«A novembre i nostri occhi saranno puntati sulla Pennsylvania, perché è uno swing state che assegna 21 voti elettorali e la maggior parte delle sue contee ha adottato il touch-screen senza stampanti, ovvero senza controprove su carta», spiega Pamela Smith, presidente di Verified Voting, l'associazione fondata qualche anno fa da Dill. «Poi ci sono la Virginia, la solita Florida, l'Indiana». Anche la Smith ammette che qualche successo è stato raggiunto. «Per fortuna che la Pennsylvania ha deciso di dotare i seggi di schede di carta di riserva, qualora le macchine si rompano. Alle ultime elezioni di mid-term avevano avuto parecchie brutte sorprese». Perché non ci sono solo le presidenziali: le elezioni federali, statali e locali abbondano. E riportare qui la lista delle disavventure capitate alla democrazia elettronica americana negli ultimi dieci anni, sarebbe impossibile: ce ne sono state a decine.

In realtà, il mondo digitale complica solo il gran pasticcio di quello analogico. I cittadini si devono pre-registrare al voto. Se non lo fanno, possono esercitare un provisional ballot che, insegna l'esperienza, non verrà quasi mai conteggiato. Ogni Stato ha ovviamente un diverso sistema per gli absentee ballot, che i cittadini possono chiedere (nel Maine anche via Internet) se sanno di non potersi recare alle urne. Alla fine, la partecipazione è mediamente del 54 per cento. Al che, si capisce che l'elezione dell'uomo più potente del mondo è appesa a un filo un po' troppo tenue. «La parte più conservatrice dell'establishment politico non ha mai incoraggiato la gente a registrarsi», dice Casper, mentre sul computer scorrono le foto del suo ultimo viaggio in Italia. «Gli elettori degli Stati saldamente in mano democratica o repubblicana non sono incoraggiati a votare: sanno che il loro voto non farà la differenza. Io comunque andrò», dichiara il canuto e arguto giurista. Voterà Obama.

Dill, da parte sua, pare felicissimo di restarsene nell'ombra. Adesso si è buttato sulla cosiddetta biologia dei sistemi. «Mi interessa la complessità degli organismi viventi, ci sono ancora tante cose da scoprire e vorrei portare la mia esperienza sui sistemi informatici», racconta. Certo, se a novembre qualcos'altro andasse storto nel sistema elettorale, finirà magari sotto i riflettori dei media, e il Carneade diventerà Cassandra. Forse solo a quel punto, qualcuno ci dirà perché sono stati gettati quattro anni senza correggere questa lampante debolezza della democrazia americana. E quindi, della democrazia del mondo.

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