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«Non abbiate paura»: 30 anni fa l'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II

di Massimo Donaddio

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22 ottobre 2008
Giovanni Paolo II sopo la sua elezione (Ansa)

Esattamente trent'anni fa, era il 22 ottobre 1978, Giovanni Paolo II, il polaccoKarol Wojtyla, incominciava il suo ministero di Pontefice della Chiesa Cattolica. Era una domenica, e durante la messa di solenne inizio di pontificato – la cerimonia che un tempo veniva chiamata, con molta più enfasi, di "intronizzazione" – i fedeli di tutto il mondo, grazie al collegamento televisivo, potevano per la prima volta vedere e ascoltare il nuovo Papa, dopo il piccolo "antipasto" costituito dal curioso e inconsueto saluto a conclave appena terminato («Se sbaglio mi corrigerete»). Il polacco Wojtyla, primo non italiano da circa mezzo millennio a sedersi sulla cattedra dell'apostolo Pietro, stupiva già con la sua voce ferma e tonante, con la sua vigoria fisica, con il suo modo di comunicare con parole e gesti, con il pastorale brandito e fatto roteare come un bastone. Che qualcosa stesse per cambiare nella figura tradizionale di un Pontefice romano, lo avrebbero capito presto in molti: quel giorno fu per tutti una chiara anticipazione. Non soltanto con gesti simbolici Wojtyla annunciava un cambiamento dei rapporti tra la Chiesa e il mondo; non solo con la sua biografia (vescovo durante il Concilio Vaticano II, decisivo collaboratore alla stesura della costituzione "Gaudium et Spes", il documento conciliare dedicato ai rapporti tra la Chiesa e il mondo moderno) ma anche con la primissima omelia, che, malgrado la relativa brevità e semplicità, costituirà in un certo senso il programma del Pontificato, la rotta verso la quale il nuovo Pontefice ha intenzione di sospingere la Chiesa. È un discorso divenuto famoso soprattutto per quelle parole - «Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo» – che sono diventate quasi un sigillo di Giovanni Paolo II, sempre teso in avanti verso il futuro, verso l'anno Duemila, non prima, però, di aver chiesto perdono per gli errori commessi dalla Chiesa nel passato. Una omelia che parla il linguaggio della speranza ("Varcare la soglia della speranza" è il titolo del libro scritto con Vittorio Messori), e che si rivelerà profetica nella sfida al mondo comunista dell'Europa dell'Est al quale è dedicata l'esortazione ad «aprire i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo», e che si conclude con un accorato: «Permettete a Cristo di parlare all'uomo». Il Pontefice venuto a Roma da un Paese lontano, si rivolge ad un mondo che conosce bene, che aveva tentato di bloccare e congelare in tutti i modi la società civile e i diritti dei singoli individui, ingaggiando, almeno in Polonia, un'aspra battaglia con la combattiva Chiesa locale. Una scelta profetica, si dirà poi, quella del Papa polacco: una figura, in ogni caso, decisiva nella caduta quasi incruenta dei regimi comunisti dell'Est europeo, a cominciare proprio dalla Polonia dell'amico e sindacalista Lech Walesa, per giungere all'Unione Sovietica di Gorbacev.

Un Papa che affida tutte le sue speranze di cambiamento alla fede in Cristo, che – come scriverà anche nella prima lettera enciclica "Redemptor hominis" – sola è in grado di «rivelare l'uomo a sé stesso in quanto figlio di Dio»; un Papa che però, fin dalla prima omelia, vuole rivolgersi non soltanto ai credenti cattolici, ma anche a «voi tutti che ancora cercate Dio e pure voi tormentati dal dubbio», come dimostreranno le iniziative di dialogo con i capi delle varie religioni del mondo, o i colloqui con esponenti del mondo della scienza e della cultura (basti pensare alla "riabilitazione" di Galileo o all'ammissione dell'ipotesi evoluzionista tracciata da Charles Darwin).
Un Pontefice che proviene da una Chiesa frontiera, abituata alle sferzate di un regime ostile e oppressivo, che dichiara però di non voler tornare al passato, rappresentato dal triregno (la tiara sormontata da una triplice corona, simbolo del potere temporale dei Papi), ma di voler immergersi in «un'umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà di Cristo».
Con questa omelia si aprirà uno dei pontificati più lunghi (27 anni) della storia bimillenaria della Chiesa: Giovanni Paolo II sarà percepito come il Papa "missionario", il "cappellano" del mondo: dei poveri e dei ricchi, dei piccoli e dei grandi, dei vicini e dei lontani, sulla via maestra tracciata in questo primo discorso-manifesto, che rimane scolpito nella memoria di chi lo ha ascoltato dalla sua viva voce, e che restituisce una delle immagini più belle ed efficaci, ancora oggi, di Karol Wojtyla.

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