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INTERVISTA / Zalman Shoval: «Via dalla scena politica l'estremismo islamico»

dal nostro inviato Ugo Tramballi

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TEL AVIV - La guerra vista dall'opposizione non è facile: devi sostenere lo sforzo militare del Governo rischiando di fargli un favore politico. Ed è ancora più difficile quando tra fronte e urne non c'è neanche un mese di tempo. Se non cambiano le cose, al momento si combatte a Gaza e si vota il 10 febbraio in Israele: il conflitto rischia di trasformarsi in un comizio.

Zalman Shoval sorride. È entrato nella Knesset nel 1970 per sostituire Ben Gurion, è stato due volte ambasciatore negli Usa, a 78 anni è il saggio del Likud, l'opposizione di centro-destra. Le insidie della coesistenza tra guerra e urne, sono pane per i suoi denti. «Noi sosteniamo sin dall'inizio l'azione militare, come il 90% degli israeliani. Non voglio essere critico, ma ho l'impressione che dentro il Governo Kadima-Labour abbiano opinioni differenti sulla guerra».

E la vostra qual è?
Il Governo vuole impedire che Hamas si armi, che lanci altri missili e che venga militarmente ridimensionato. Questo è lo scopo ufficiale. Noi pensiamo che debba anche essere rimosso politicamente. Non siamo solo noi a non volere il regno di Hamas: non lo vogliono gli arabi, non lo vuole l'Autorità palestinese di Abu Mazen, non gli americani né gli europei. Hamas sottintende l'Iran: se alla fine della guerra potrà in qualche modo dire di aver vinto, sarà un successo per il regime iraniano: le sue ambizioni regionali avranno una spinta pericolosa. Secondo i rapporti dal campo di battaglia che abbiamo, Hamas è ormai vicino al collasso.

Foste stati al Governo vi sareste comportati diversamente?
No. Anche noi siamo preoccupati per il numero eccessivo delle vittime civili palestinesi. Ma non sono stati presi sul serio gli ammonimenti del Likud. Già nel 2005, prima del nostro ritiro da Gaza, dicevamo che i razzi avrebbero raggiunto Ashkelon e Beersheva. Ci hanno accusati d'isteria, di essere il partito della guerra. Invece è successo.

Prima della Guerra Bibi Netanyahu, il vostro leader, sopravanzava senza problemi Kadima di Tzipi Livni e il Labour di Ehud Barak. Ora le cose stanno cambiando.
Ho visto una settimana fa un sondaggio di "Globes", il giornale economico israeliano. Dava 38 seggi al Likud, 26 a Kadima, 16 al Labour. In un altro le distanze sono più strette. Ma in ogni caso la destra conquisterà la fetta più larga dei 120 seggi alla Knesset. Per formare un Esecutivo, il centro-sinistra sarebbe costretto ad allearsi con i partiti arabi. Quasi certamente sarà Netanyahu a formare il nuovo Governo.

Con chi, con la destra estrema, con quei candidati radicali che sono entrati nelle vostre liste?
La sconfitta o la vittoria sarà di Bibi Netanyahu. La linea la sceglierà lui. Date le grandi decisioni che dovranno essere prese, si può pensare a un Governo di unità nazionale con Kadima e laburisti. Bibi lo aveva proposto anche prima della guerra.

Nel programma del Likud, però, lo Stato palestinese non è una priorità.
Noi diciamo che non ha senso discutere oggi se ci sarà o no uno Stato palestinese. Certo, le possibilità sono molte. Ci dobbiamo concentrare sulla leadership moderata, come quella del premier Salam Fayyad; sulla realtà economica che non deve sostituirsi alla politica ma che, parallelamente, offra la possibilità di creare le strutture di un sistema produttivo, di un quadro legale che dia stabilità ai palestinesi. In questo Israele ha un ruolo decisivo. Ma anche la Giordania ne ha uno.

Munib al-Masri, il più grande industriale palestinese, sostiene che il problema è politico, non economico: senza Stato non ci sarà economia.
Non ne sono sicuro. Prima di creare Israele noi avevamo già un sistema scolastico, sociale, sanitario, banche e industrie.

Ma un processo politico di pace c'è già.
Quello di Annapolis è fallito. Il nostro approccio è pragmatico, non ideologico. Se troveremo un partner, se a Gaza tornerà l'Autorità palestinese. Contiamo che gli Stati Uniti comprenderanno la nostra posizione.

Molte cose lasciano credere che Barack Obama spingerà Israele al negoziato per lo Stato palestinese.
Obama è realista. Uno Stato subito sarebbe negativo. Non vedo un leader israeliano capace di accettare la spartizione di Gerusalemme; o uno palestinese che rinunci al diritto al ritorno dei profughi. Una soluzione immediata sarebbe la prescrizione per il disastro.

La soluzione a breve?
Una formula provvisoria: uno Stato palestinese senza frontiere definitive. Se dopo le elezioni avremo un Likud forte, che non sarà condizionato da una coalizione troppo vasta, Netanyahu collaborerà con gli Stati Uniti e la comunità internazionale.

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