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La carica dei nuovi lobbisti

dal nostro inviato Mario Platero

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20 Gennaio 2009

WASHINGTON - Change? Cambiamento? Sulla carta è totale: per la prima volta oggi un afroamericano giurerà fedeltà alla Costituzione ai piedi del Campidoglio e andrà alla Casa Bianca. Escono i repubblicani ed entrano i democratici. Per la prima volta in otto anni a Washington cambia la mappa del potere esecutivo. E dunque cambia il "networking", cambiano gli equilibri del potere, i punti di riferimento. Da tre giorni Washington è travolta da feste, mondanità private, eventi ufficiali il cui unico obiettivo è quello del passaggio informale delle consegne fra le eminenze grigie, gli intermediari del potere, i lobbisti, che l'ultimo censimento informale ha contato in 22mila.
Sono loro al centro di una cinghia di trasmissione che produrrà migliaia di nomine, ambasciatori, consiglieri legali della Sec, vicesegretari, assistenti del ministro: «I ministri e le persone chiave attorno a Obama li conosciamo. Ma gli altri soffrono. Sono queste le giornate decisive in cui un incontro, un contatto giusto, può tradursi in una nomina», dice Douglas Maguire, del Meridian International Center, un ente non profit molto vicino ai democratici.
Ci sono dunque gli eventi pubblici e ufficiali, come le tre diverse cene di ieri sera per Colin Powell, per il senatore Joe Biden, per il senatore John McCain, alle quali ha fatto un'apparizione Barack Obama. E ci sono gli eventi privati: come la festa di domenica a casa di Maureen Dowd, l'editorialista del New York Times che ha contribuito non poco alla svolta di Obama in apertura delle primarie. Il suo party è strettamente "networking". Talmente ricercato e affollato che l'attore Tom Hanks resta fuori. La caratterizzazione del party della Dowd riguarda i media e Hollywood: il glamour che si riflette sul "business". George Lucas, produttore e regista, Susan Rice prossimo ambasciatore alle Nazioni Unite, Arianna Huffington, editore dell'Huffington Post, Andrea Mitchell della Nbc (con il marito Alan Greenspan), Margaret Warner, anchor della Pbs, George Stephanopoulos (ex Clinton oggi Abc) David Gregory, la nuova star del programma "Meet the Press" (anche lui resta fuori). C'è anche David Geffen, produttore massimo a Hollywood. È lui che per primo, in un momento delicatissimo delle primarie, ha spaccato Hollywood organizzando una rivolta contro Hillary Clinton. Il suo è stato il primo segnale, lanciato dalle colonne della Dowd, che le cose potevano davvero cambiare. Che davanti a Obama la macchina del potere dei Clinton non era granitica: «Momenti gloriosi: primarie e campagna di fuoco. Mi basta gustare questa vittoria» dice Geffen.
Ma chi lo conosce osserva che «l'onore di qualche riconoscimento» non gli dispiacerebbe affatto, «ma scommetto che alla fine non avrà nulla», ripete l'anonimo informato. Da Jane Hartley, invece, nella sala privata del ristorante Nora, ci sono i banchieri. La Hartley, presidente dell'Observatory Group, un gruppo di consulenti politici a New York, riceve con il marito, Ralph Schlosstein, grande finanziere. Rifiuta l'etichetta della lobbista. Nell'epoca Obama il cambiamento è la parola chiave. E il presidente eletto ha detto chiaramente che i lobbisti sono "out", che non avrà bisogno di loro e del loro aiuto per raccogliere fondi. Ma la Hartley ha raccolto quasi 2 milioni di dollari per la campagna democratica. A qualcosa è servito: da lei, domenica sera, per la delizia dei banchieri c'è Christopher Dodd, il potente presidente della commissione bancaria del Senato. Intorno a lui, per la categoria "finanzieri privati" ci sono i banchieri Joe Perella, Vincent May e Roger Altman, ma anche finanzieri afroamericani della nuova generazione: Raymond McGuire, il nuovo capo di Investment Banking a Citigroup e Ronald Blaylock di GenNx360, amico di Obama da vent'anni.
Su tutte, vince la battuta che Perella recita a Dodd: «Sa che differenza c'è tra Madoff e i grandi capi delle istituzioni a Wall Street? Madoff sapeva benissimo quel che stava facendo. Gli altri no». Dalla Hartley c'è anche Dick Holbrooke: ci conferma che andrà come inviato speciale per il conflitto in Afghanistan. Farò del mio meglio. Il networking funziona anche per lui, apprende da uno dei presenti un dettaglio importante sugli equilibri di potere in Pakistan. C'è un'altra primizia in questa inaugurazione: i "Dotcom" fanno networking anche loro. Larry Summers, capo consigliere economico di Obama, è andato soltanto al party di Christopher Hitchens per Slate.com per cui lavora. Non aveva l'aria allegra, in compenso non c'erano banchieri. Ieri notte il più conteso è stato il party dell'Huffington Post, al Newseum, con concerto di Sting. E i lobbisti che non si nascondono dietro il dito della semantica? Ieri notte c'è stato il party di Vernon Jordan, avvocato, afroamericano e capitano di lungo corso dei corridoi del potere.
Ma c'è già chi scommette che al primo posto dei lobbisti nell'era Obama salirà Tony Podesta, il fratello di John, il capo della transizione di Obama, la persona cui è toccata la responsabilità di suggerire nomi e gestire il processo di nomine. Tony, con la moglie Heather, potrà chiamare chiunque nella nuova amministrazione. La lista dei suoi clienti è già diversificata. I più importanti: la Bp, Lockheed Martin, Novartis, Amgen, Sunoco e persino Wal-Mart, che rifiuta la sindacalizzazione. Forse anche Tony sta pensando, in nome di Obama, a presentarsi non come lobbista, ma come... "facilitator", perché tutto cambi restando come prima.

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