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Darfur, Bashir contro Usa e Occidente:
«Sono loro i veri assassini».
Pechino si oppone all'arresto

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4 marzo 2009

La Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso un ordine d'arresto per il presidente del Sudan, Omar Al Bashir, per crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi in Darfur.
A decidere la prima incriminazione di un Capo di Stato in carica da parte del tribunale dell'Aja sono stati i giudici della camera preliminare uno. Immediata la replica di Khartoum che ha denunciato un piano di «neocolonialismo» e ha ribadito che Bashir non sarà consegnato.
Il consigliere presidenziale, Mustafa Osman Ismail, ha affermato che il suo governo non è sorpreso dalla decisione: «Non vogliono che il Sudan si stabilizzi». E nella capitale sudanese migliaia di persone sono scese in piazza per contestare l'ordine d'arresto. Alla manifestazione si è unito lo stesso presidente Bashir, che ha detto: «I veri criminali sono i leader di Stati Uniti e dei Paesi europei». Agitando il suo bastone, Bashir ha rinfacciato agli Stati Uniti ciò che hanno fatto «ai nativi americani, a Hiroshima e in Vietnam».
«Per vent'anni abbiamo subito la pressione dei neo-colonialisti e i loro strumenti come la Corte
internazionale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e il Fondo monetario» ha aggiunto.

Bashir è accusato in particolare per il massacro dei civili delle tribù fur, masalit e zagawa che abitano il Darfur con «l'alibi di combattere la ribellione». Si stima che la repressione nella provincia sudanese abbia fatto 300 mila morti e due milioni di sfollati. Bashir già alcuni mesi fa si era rifiutato di consegnare due sospetti di genocidio: il ministro per gli Affari umanitari, Ahmad Harun, e uno dei capi delle feroci milizie filogovernative, i janjaweed, Ali Khashayb. È la prima volta che un presidente in carica viene incriminato dalla Corte penale internazionale, il primo tribunale creato per giudicare crimini internazionali.

Dalla Cina all'Iran, i paesi che si oppongono all'arresto di Bashir. Da alcuni paesi è giunta la richiesta al Consiglio di sicurezza dell'Onu di sospendere il mandato d'arresto. Fra questi l'Egitto, l'Iran e la Russia. Per l'inviato di Mosca per il Darfur, Mikhail Margelov, si tratta di «una decisione intempestiva» che crea «un precedente pericoloso». Per gli Usa, che pure non hanno firmato il Trattato istitutivo della Cpi, è giusto processare Bashir: «Gli Usa ritengono che chi ha commesso atrocità debba risponderne in tribunale», ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood. Esultano le organizzazioni per i diritti umani: per Human Rights Watch ora «neppure i presidenti sono garantiti per i loro orribili crimini». Anche Pechino esorta la Corte penale internazionale dell'Aja a sospendere il mandato di arresto, esprimendo «rammarico e preoccupazione che possa peggiorare la situazione in Darfur». Lo ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang, rilevando che «la Cina si oppone a qualsiasi azione che possa vanificare gli sforzi per la pace in Darfur e in Sudan».
Anche l'Organizzazione per la conferenza islamica (Oci) ha condannato il mandato di cattura, perché «il mandato di arresto può minare anche la stabilità del Sudan», ha sottolineato in un comunicato il segretario generale dell'Oci, Ekmeleddine Ihsanoglu.

Il Presidente sudanese Omar al-Bashir  ©AP/LaPresseRischio di rappresaglie contro i caschi blu. Popolazione civile senza assistenza sanitaria. Adesso il timore è che vi siano rappresaglie contro i dipendenti dell'Onu e i caschi blu che operano nel Paese africano, 32 mila persone tra staff locale e stranieri. I 25 mila caschi blu sono schierati in Darfur e nel Sud Sudan. Gli italiani sono 500, di cui 300 a Khartoum.

Il governo del Sudan, inoltre, ha ordinato il ritiro di tutti i membri dell'organizzazione umanitaria "Medici senza Frontiere" che lavorano in Darfur. Secondo quanto reso noto da Msf a Parigi, il governo sudanese ha spiegato che i cooperanti devono lasciare la regione entro oggi per motivi di sicurezza. Ma per Medici senza Frontiere la situazione in cui resterà la popolazione del Darfur sarà drammatica: il gruppo è l'unico a distribuire medicine in diverse zone della regione e oltre 200mila pazienti rimarranno privi di assistenza medica essenziale.

4 marzo 2009
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