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Intervista all'ammiraglio Giampaolo Di Paola

di Paolo Migliavacca

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3 aprile 2009

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La Nato ritiene che ci sia una potenziale minaccia alla sua sicurezza proveniente dalle armi di distruzione di massa, missili balistici inclusi, e quindi sta valutando come far fronte a questa sfida attraverso lo sviluppo di una difesa anti-missile di teatro, com'è stato confermato nel vertice di Bucarest. Ma non si è ancora espressa su come contrastare concretamente questo pericolo. Peraltro è vero che anche la Russia corre lo stesso rischio: infatti, un po' di tempo fa, ha offerto l'uso di un proprio radar collocato in Azerbaigian, nell'ambito di un sistema collettivo di difesa. Ciò che Mosca non accetta – secondo me impropriamente, per una ragione soprattutto politica – è la collocazione in Polonia del cosiddetto "terzo sito". Inoltre – e questo è forse poco noto – Russia e Nato stanno già ora lavorando insieme allo sviluppo di un sistema antimissilistico di teatro.

Mi pare si possa dire che la Russia riconosca il problema, ma contesti la soluzione finora prospettata. Dal suo punto di vista, lei ritiene barattabile la sua sospensione (o annullamento) del progetto Usa anti-missili contro un impegno di Mosca a cooperare più intensamente a contenere l'Iran?
Si tratta di un giudizio politico che non mi compete. Mi limito a osservare che ci sono nuovi elementi di discussione sul tavolo e credo che, se Mosca lo vuole, ci sia spazio per un'intesa. Che del resto sarebbe nell'interessa di tutte la parti in causa, Russia compresa: la minaccia di proliferazione missilistica riguarda tutti, anche Mosca.

Se davvero decolla il dialogo tra Usa e Iran, quest'ultimo Paese potrebbe diventare un retroterra logistico alternativo per il rifornimenti della missione Isaf che la Nato ha in Afghanistan?
L'Iran ha certamente questo potenziale, ma dovrà decidere se vuole o no giocare un ruolo positivo. Questo grande Paese ha una lunga frontiera comune con Afghanistan, non è mai stato politicamente favorevole ai Taliban e non ha interesse a un Afghanistan e a un Pakistan "talibanizzati" e destabilizzati. Ma ha soprattutto un grande problema pratico, come tutti i confinanti con Kabul: quello degli stupefacenti e del loro traffico, che passa sul suo territorio e su quello del confinante Turkmenistan. In quanto grande attore regionale, l'Iran intende vedersi riconoscere questo ruolo, ma deve "meritarselo". Come del resto la stessa Russia: chi vuol essere protagonista, dev'essere all'altezza del proprio ruolo, con un comportamento adeguato agli standard e alle norme internazionali.

Che impatto avrà la crisi economica mondiale sui bilanci militari? Dobbiamo aspettarci una richiesta americana all'Europa di un maggior concorso alle spese per la difesa per compensare i tagli che si profilano nei budget Usa?
Per rispondere, occorre partire da un dato essenziale: la spesa militare Usa è quasi pari alla somma di tutti gli altri bilanci militari mondiali restanti. Anche se la crisi economica mondiale dovesse indurre il Governo americano a ricalibrare il proprio budget, non sarà mai necessario chiedere ai partner europei di farsi carico di tali tagli. Alcuni giorni fa il presidente Obama ha dichiarato che farà di tutto per mantenere la capacità militare degli Usa e la loro superiorità negli armamenti, senza quindi prospettare alcun sacrificio. Ciò detto, sono quindi i Paesi europei a dover fare un sforzo equilibrato nei bilanci militari, nell'ottica del burden sharing, per garantire la difesa collettiva. Se gli altri partner denunciano spesso il ruolo dominante degli Usa in campo politico-militare entro l'Alleanza, devono essere coerenti quanto a stanziamenti: nessun Paese è mai andato in bancarotta per aver dedicato il 2% del Pil alla propria difesa.

Mi pare invece che ci sia spesso incoerenza tra la volontà di spesa e gli stanziamenti effettivi…
Alcuni Paesi europei rispettano già i loro impegni. La Francia, ad esempio, stanzia per la difesa 377 miliardi di euro fino al 2020: si tratta di oltre 31 miliardi l'anno, pari alla spesa attuale, mentre con la presidenza Chirac il budget era inferiore ai 30 miliardi annui. Ciò non significa però che il potere politico non debba puntare a spendere sempre meglio. Può essere questa la lezione positiva che ci lascerà questa crisi: accettare un riequilibrio qualitativo della spesa militare, con l'impegno a spendere bene fino all'ultimo centesimo che i contribuenti con fatica ci assegnano. Quando il periodo delle "vacche magre" sarà finito, troveremo una struttura militare risanata. E ciò sarà un bene per tutti.

Come spiega il desiderio della Francia di rientrare a pieno titolo nella struttura militare?
Con questa mossa la Francia intende portare il suo importante contributo alla costruzione del futuro dell'Alleanza e alla definizione del nuovo concetto strategico che sarà lanciata al prossimo vertice di Strasburgo. Una Francia membro a pieno titolo della Nato contribuisce a rafforzare l'Alleanza tutta, ma soprattutto il pilastro europeo, e nel contempo rafforza il rapporto tra Nato e Unione europea.

3 aprile 2009
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