TALLINN - A quattro gradi sotto zero, sul campo di calcio immacolato di neve, dieci reclute in tuta blu lottano per un pallone come ragazzini all'oratorio. Sono appena usciti dalle palazzine in pietra grigia che spuntano poco più in là, alla fine della salita, dietro i rami gelati degli alberi.
Fino al 1991 queste erano le caserme dell'Armata Rossa a Tallinn, capitale della Repubblica socialista sovietica dell'Estonia, oggi sono il quartier generale del corpo d'élite della Nato, addestrato per una guerra che ancora non c'è ma che potrebbe scoppiare all'improvviso. I militari la chiamano cyber war, guerra informatica: è un conflitto invisibile, senza bombe né fucili, un confronto virtuale combattuto a colpi di bit e di cervello. Silenzioso. Ma potenzialmente devastante.
Non ci furono rombi di cannoni né vittime quando due anni fa il primo attacco informatico in grande stile fu lanciato sulla piccola repubblica estone. La guerra durò un mese. Quattro settimane nelle quali i siti web del Paese furono bloccati e per alcuni giorni Tallinn rimase isolata. L'offensiva partiva dalla Russia, ma nello spazio virtuale che non ha confini computer di mezzo mondo furono coinvolti.
E ancora da Mosca, l'estate scorsa, nella guerra con la Georgia, un altro attacco: questa volta nel web di Tbilisi, con la foto del presidente Mikheil Saakashvili sostituita da quella di Adolf Hitler e i siti della polizia, dei ministeri degli Esteri, delle Finanze, della Difesa e della Banca nazionale completamente in tilt. Giochi goliardici o test di prova per attacchi più insidiosi? Nessuno ancora lo sa. Ma questo edificio alla periferia di Tallinn è la prova tangibile che per la Nato è scattato il livello di allarme.
Superati i controlli, un uomo in maglione verde e gli occhi di ghiaccio entra nella biblioteca al piano terra: «Piacere – dice stringendo con forza la mano – tenente colonnello Ilmar Tamm, comandante del Centro di eccellenza Nato sulla cyberdifesa». Dentro fa caldo. Nella stanza arredata in stile Ikea con le pareti di pietra c'è aria di quiete. Più che una caserma sembra la sede di un club. Eppure, proprio qui, si stanno gettando le basi della Nato del futuro. «Per ora siamo in 13, tra militari e civili – esordisce Tamm – ma a regime il centro conterà 30 esperti provenienti da sette Paesi dell'Alleanza, tra i quali anche un italiano. Un team molto piccolo, agile, flessibile, specializzato».
L'accordo che ha portato alla nascita del Centro Nato sulla cyberdifesa è stato firmato nel maggio 2008 da Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Spagna; nei prossimi mesi anche Usa e Turchia si aggiungeranno al gruppo. Il centro di Tallinn ha appena aperto e l'organico deve essere ancora completato. Ma l'obiettivo è di arrivare alla piena operatività entro quest'anno, con la partenza di 21 progetti concreti.
«Voglio sgomberare il campo da ogni equivoco – sottolinea Tamm – noi non siamo dei guardiani del web. Questo è un centro di ricerca e di studi sul cyberspazio che dovrà stabilire le policy della Nato. Per intenderci, monitorare il network, come fanno i cinesi, non è la nostra missione, noi abbiamo un approccio più scientifico: facciamo analisi e troviamo soluzioni». Gli esperti civili e militari chiusi nelle stanze al piano di sopra, in un'area di sicurezza non accessibile, stanno elaborando una sorta di Codice Nato sulla cyberdifesa per determinare come i Paesi dell'Alleanza possano difendersi dagli attacchi via web. Non è un lavoro semplice, perché non ci sono precedenti a cui rifarsi.
«La Nato – aggiunge Tamm – non ha ancora una definizione precisa di che cosa sia veramente un conflitto informatico. Nel cyberspazio non ci sono le stesse regole del teatro di guerra. Come capire chi è un combattente e chi no? Non ci sono confini, distruzioni di edifici, non ci sono divise». Brutta guerra, quella virtuale, sembra di capire. Insidiosa perché anche senza armi può disseminare morti e feriti, visto che la rete si innerva ormai ovunque e attraverso il web si gestiscono elettricità, acqua, ospedali, comunicazioni, banche, infrastrutture, informazioni. Inafferrabile perché nella rete tutti i computer sono interconnessi e gli attacchi possono arrivare da ogni luogo. Tamm lo conferma: «Colpire nel cyberspazio è molto più facile che difendersi: basta una sola falla per dilagare ovunque e provocare il disastro».
Gli attacchi informatici nel mondo, per lo più contro banche e istituzioni finanziarie, sono in crescita esponenziale, ma solo una piccola percentuale di questi episodi viene resa nota. La Nato, dunque, ha chiaro che occorre bruciare i tempi perché la prossima offensiva potrebbe anche colpire i gangli vitali di uno dei 26 Paesi dell'Alleanza, come è già accaduto del resto in Estonia nel 2007. E allora, i marines del web potrebbero presto essere una realtà. «Probabilmente – ammette Tamm – il cyber-esercito in futuro avrà un ruolo sempre più importante».
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