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«Troppi aiuti fanno male all'Africa»

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23 maggio 2009
Alcuni militari del Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger

Dambisa Moyo: le iniziative delle Ong creano soltanto dipendenza - AL CONTRATTACCO - One, l'organizzazione della popstar Bob Geldof, ha lanciato una campagna di mobilitazione per contrastare le tesi della studiosa

Bollarla come un personaggio approssimativo, una visionaria, fino a un «pericolo» per milioni di poveri, potrebbe risultare semplicistico. Inevitabile che gli attivisti impegnati a risollevare l'Africa dalla povertà la vedano come il fumo negli occhi. Il suo motto - in sintesi "Gli aiuti all'Africa uccidono l'Africa" - suona a prima vista come una provocazione. Eppure, nonostante il fiume di critiche che si è tirata addosso, il curriculum di Dambisa Moyo impone una certa considerazione: si può fregiare di un dottorato in economia a Oxford, un master ad Harvard, una consulenza alla Banca mondiale come economista, un'altra esperienza nel settore investimenti nella prestigiosa banca d'affari Goldman Sachs. Fino al ruolo di economista per il governo dello Zambia, paese di cui è originaria.
Un fatto è indiscutibile: l'inarrestabile ascesa di Dambisa Moyo sta provocando un dibattito planetario sulla politica degli aiuti allo sviluppo all'Africa. Un dibattito esploso quasi improvvisamente così come è esplosa la sua popolarità negli ultimi mesi. Da quando lo scorso aprile è comparsa nella lista dei migliori bestseller edita dal New York Times, per poi essere inserita il mese successivo da Time Magazine nella classifica delle cento personalità più influenti al mondo. Di una cosa la Moyo è convinta: gli aiuti a pioggia creano una pericolosa e sterile dipendenza. I suoi strali sono rivolti soprattutto alle Ong e a personaggi, come il cantante Bono degli U2 e Bob Geldof, che da tempo cercano di convincere le potenze industrializzate a ridurre il debito che grava sui paesi africani e ad aumentare gli aiuti economici. Molte Ong, attacca la Moyo, sono interessate a perpetuare la povertà per giustificare la loro esistenza. A suo giudizio, se i paesi donatori chiudessero i rubinetti degli aiuti, milioni di africani uscirebbero dalla povertà in pochi anni. Le politiche di assistenza creano solo «poor governance», gonfiando i conti all'estero dei dittatori.
Una tesi non innovativa. Come non lo sono le soluzioni prospettate; un cocktail composto da libero mercato, micro-finanza, un commercio più equo e investimenti sul luogo. Gli attivisti non nascondono i loro timori: grazie alla sua attuale notorietà, e al fatto che sia un'africana a dirlo, le idee della Moyo rischiano di essere prese sul serio. Non è un caso che Paul Kagame, il presidente del Ruanda, l'abbia invitata a Kigali affinché dispensi consigli al suo governo. Non è un caso che il leader libico Muammar Gheddafi la voglia subito vedere. One, l'Ong di Geldof, ha organizzato una campagna di mobilitazione per evitare che i messaggi della Moyo offrano il pretesto ai paesi donatori per ridurre i loro aiuti, soprattutto di questi tempi.
La Moyo ritiene che il suo Continente possa ricalcare le orme di Cina e India, ripetendone i grandi progressi economici. Ma in molte aree dell'Africa i confini sono stati tracciati sulla carta in modo frettoloso dalle ex potenze coloniali. In molti casi non sono state tenute nel dovuto conto le strutture tribali, uniche al mondo. E non è scontato che alcune potenze straniere decidano di non finanziare più i dittatori rinunciando alle materie prime.
R.Bon.

23 maggio 2009
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