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Contro l'atomica dei poveri sanzioni inutili

di Alberto Negri

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30 maggio 2009

L'idea che le sanzioni possano fermare la proliferazione nucleare e la corsa agli armamenti missilistici si scontra con una realtà che dice esattamente il contrario. Paesi come la Corea del Nord, l'Iran o il Pakistan - ma lista è lunga- hanno continuato il riarmo nonostante siano stati sanzionati più volte, sia dall'Onu che da Stati Uniti ed Europa.

Dopo la fine della guerra fredda e dell'Unione sovietica si è creato una sorta di bazar atomico che ha reso molto più facili gli approvvigionamenti di uranio, l'accesso alle tecnologie, la circolazione di scienziati e tecnici. Anzi, la tecnologia nucleare è diventata conveniente soprattutto per i più poveri: permette anche ai regimi più emarginati di soddisfare le loro ambizioni senza andare in rovina. E se l'obiettivo è intimidire, o farsi rispettare, non esiste un sistema più rapido e accessibile di questo che ha segnato l'ascesa di un nuovo proletariato atomico: la rete internazionale del pakistano Abdul Qadir Khan, rimesso recentemente in libertà, è l'esempio più clamoroso di proliferazione su scala mondiale alla portata di tutti, o quasi.

Non ci sono né sanzioni né incentivi che tengano. Dotarsi dell'atomica è una decisione politica e per sostenerla non è neppure necessario essere troppo ricchi o tecnologicamente avanzati. Questa atomica dei poveri non è neppure un segnale di forza, al contrario può essere sintomo di debolezza, come dimostra la smania dell'eccentrico dittatore nordcoreano Kim Jong Il di dimostrare la sua potenza nucleare e missilistica. Pyongyang mostra i muscoli ancora ieri ha lanciato un missile a corto raggio e avvertito che assumerà nuove misure di autodifesa in caso di sanzioni Onu, mentre gli Usa temono che si prepari a un nuovo test missilistico - per convincere gli Stati Uniti a una trattativa diretta. Ma il "caro leader" è molto più preoccupato dai comportamenti di Pechino verso il suo statocuscinetto che da Washington. I cinesi sono più interessati alla posizione geografica della Corea del Nord e ai suoi sbocchi al mare vicino a Russia e Giappone che non alla sopravvivenza a lungo termine del regime. Quindi deve rafforzarsi anche nei negoziati con Pechino, che con le sue forniture garantisce a Kim di stare a galla.

Le sanzioni non hanno obbligato la dinastia Kim a rinunciare ai suoi piani militari. Hanno colpito più la popolazione del regime e quando si è avuta la grande carestia (un milione di morti) le agenzie dell'Onu sono state costrette a soccorrere Pyongyang con aiuti alimentari, distribuiti però dal governo, che in questo modo si è ulteriormente rafforzato. Lo stesso accadde in Iraq dagli anni 90 fino alla caduta del regime nel 2003: oltre il 70% del Paese viveva di razioni internazionali amministrate dal partito Baath di Saddam.

Il caso iracheno è interessante perché le sanzioni funzionarono sul piano militare ma non su quello politico, cioè il raìs fu indebolito ma mantenne il controllo della situazione. Certo il regime non aveva a disposizione grandi armamenti: per molto tempo, attraverso le ispezioni Onu, l'Iraq era stato il paese più controllato al mondo. Possono testimoniarlo gli esportatori stranieri: nei corridoi dell'occhiuto comitato sanzioni di Baghdad, sorvegliato con il pugno di ferro da americani e inglesi, ogni fornitura veniva passata al vaglio fino all'ultimo bullone. Quando Colin Powell mostrò alle Nazioni Unite in diretta tv mondiale le "pistole fumanti", la prova che l'Iraq possedeva armi di distruzione di massa poi mai trovate, ero nell'ufficio di Tarek Aziz, il cristiano braccio destro di Saddam: «Ci faranno la guerra disse anche se consegniamo l'ultimo dei nostri kalashnikov».

La questione atomica dell'Iran è forse la più ambigua e complessa, soprattutto perché si gioca sulla sottile distinzione tra nucleare civile e militare. Bushehr è la centrale più visitata del mondo, dove in ogni angolo sono piazzate le telecamere dell'Aiea e si può familiarizzare con 3.500 tecnici russi. È evidente che il nucleare mi-litare Teheran lo fabbrica da un'altra parte. Anche in questo caso le sanzioni non hanno scoraggiato diversi paesi e scienziati a collaborare con la repubblica islamica.

Oggi viviamo una sorta di paradosso: i leader mondiali hanno arsenali che non possono usare, tanto da apparire più un fardello che una risorsa, mentre l'atomica,sempre meno costosa rispetto agli standard del passato, è diventata l'arma dei poveri. Le sanzioni per essere efficaci devono essere applicate dalle grandi potenze non soltanto sulle questioni tecniche e militari ma anche sugli obiettivi politici da raggiungere: è su questo punto che i leader del club atomico, presenti anche nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, devono mettersi d'accordo.

30 maggio 2009
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