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Turchia, Orhan Pamuk torna sotto processo

di Vittorio Da Rold

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15 maggio 2009

Il premio Nobel per la letteratura nel 2006 Orhan Pamuk, in questi giorni in Italia dove parteciperà oggi alla trasmissione televisiva "Che tempo che fa", ha saputo di essere di nuovo sotto scacco giudiziario per le sue affermazioni sul discusso tema del genocidio di un milione e mezzo di armeni avvenuto nel 1915 per opera dell'esercito ottomano, accuse che i turchi rifiutano. A far scattare ancora una volta la tagliola è il famigerato articolo 301 del Codice Penale turco che riguarda la libertà di espressione, emendato proprio un anno fa, ma evidentemente senza troppi risultati pratici.
Pamuk, tornerà sotto processo con l'accusa di «vilipendio dell'identità nazionale turca» dopo che la sentenza emessa giovedì dalla Cassazione turca che per la seconda volta in poco più di un anno ha respinto il precedente giudizio di un tribunale di Istanbul, che aveva rigettato le accuse rivolte a Pamuk e chiuso il processo intentatogli.

Con la sentenza di ieri, la Cassazione ha rinviato il procedimento a un tribunale di prima istanza che dovrà valutare la questione nel merito. Se verrà riconosciuto colpevole, Pamuk sarà tenuto a pagare il risarcimento ai querelanti (nel frattempo aumentati) e che, almeno in teoria, potrebbero diventare milioni in quanto la sentenza della Cassazione consente a ogni cittadino turco di citare per danni morali chiunque - a suo parere - faccia dichiarazioni infamanti per la Turchia: un non senso.

La questione armena e curda sta avvelenando da anni il clima politico in Turchia, ma negli ultimi tempi lo stesso presidente Usa Barack Obama, nel suo ultimo viaggio proprio ad Ankara, aveva chiesto al presidente della Repubblica Abdullah Gul di dare un segnale di buona volontà per cercare di riaprire i confini con l'Armenia, evitando così al presidente americano di dover ottemperare alla promessa fatta in campagna elettorale di riconoscere come «genocidio» la strage degli armeni nel 1915, una mossa che creerebbe un grave frizione diplomatica con il prezioso alleato turco, unico paese musulmano inserito nell'Alleanza Atlantica.

Ankara, in effetti, ha fatto recentemente delle aperture agli armeni, ma ieri è arrivata la doccia fredda. Dopo la visita a Baku nell'Azerbaigian il premier turco Erdogan aveva detto chiaramente che la riapertura del confine fra Armenia e Turchia non era pensabile senza una soluzione preventiva sul Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena ma in territorio azero contesa fra le due nazioni, fin dalla caduta dell'Unione Sovietica.

«Se la Turchia vuole aiutare a risolvere il conflitto - ha detto Serzh Sarkissian, capo di Stato armeno - dovrebbe astenersi dall`intervenire nel processo». Una risposta dura ad Ankara, che da tempo, al contrario, ambiva a giocare un ruolo di grande mediatore nel Caucaso.

Tuttavia il governo Erdogan non si trova in una posizione facile. I rapporti con l'Azerbaigian (musulmano) sono storicamente eccellenti ed Ankara non si può permettere di guastarli, anche per una questione di convenienza strategica ed energetica. Con l'Armenia i rapporti sono tesi per la questione del genocidio del 1915, che la Turchia nega e che la diaspora armena vorrebbe vedere riconosciuto come tale, e anche per il conflitto in Nagorno-Karabakh, dove Ankara ha sempre preso le difese di Baku. Una situazione di tensione che nel 1993 ha portato alla chiusura del confine fra Turchia e Armenia.

Ultimamente i rapporti fra i due Paesi sono migliorati costantemente, fino alla stipulazione nell'aprile scorso di una road-map fra Ankara ed Erevan che portasse alla normalizzazione del rapporto. Intese che hanno allarmato l'Azerbaigian, che è tornato a premere sulla Turchia minacciando di chiudere le forniture di gas, al punto che due giorni fa il premier Erdogan ha voluto rassicurare l`alleato sul Caspio, specificando che una riapertura del confine turco-armeno è impossibile senza l`accordo sul Nagorno-Karabakh. Insomma tutto bloccato come prima.

15 maggio 2009
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