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Sanzioni anti-crisi ai paradisi fiscali

di Vittorio Da Rold

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24 giugno 2009

L'Ocse autorizza ad adottare misure di ritorsione ad hoc. Tremonti: «Sì a regole comuni per impedire che i capitali vengano portati in paesi compiacenti»


«Non c'è niente di meglio di una crisi finanziaria per minare il senso di superiorità dei grandi paesi e costringerli a fare la lotta ai paradisi fiscali, per trovare fondi utili a sostenere le loro asfittiche economie». Così un esperto Ocse, che vuole restare anonimo, commenta la svolta di Berlino.

Un meeting partito in sordina ieri nella capitale tedesca, dove i ministri finanziari di 19 paesi Ocse, tra cui Eric Worth per la Francia e Peer Steinbrück per la Germania, hanno raggiunto un accordo a lungo inseguito nelle cancellerie sulla possibilità di imporre sanzioni («misure difensive», dice pudicamente il comunicato ufficiale) ai paesi che non rispettano gli standard fissati dall'organizzazione in materia di paradisi fiscali. Una svolta storica, ha dichiarato palesemente soddisfatto il socialdemocratico ministro delle finanze tedesco Steinbrück, aggiungendo di essere «felice» che la decisione sia stata sottoscritta anche dagli ex reprobi «Svizzera, Austria e Lussemburgo».

Cosa è successo in realtà dietro le quinte per arrivare a un tale capovolgimento di posizioni? Francia e Germania (che a settembre andrà alle urne e vuole fare della battaglia agli evasori una bandiera politica bipartisan) hanno chiesto agli altri 17 paesi presenti che lo scambio di informazioni fiscali e la cooperazione amministrativa sia un passo necessario per contrastare la concorrenza sleale ed evitare di penalizzare i contribuenti onesti.

Chi non rispetterà gli accordi Ocse sulla trasparenza o attuerà le solite pratiche dilatorie per non tener fede alle intese sottoscritte verrà colpito da sanzioni. Misure che prevedono l'aumento delle ritenute alla fonte rispetto a un larga tipologia di pagamenti «fatti da giurisdizioni non cooperative»; l'abolizione della possibilità di deduzione di spese di pagamento effettuate nei tax haven; fine dei trattati tributari con nazioni o territori che rifiutano di scambiare informazioni. Sembrano poca cosa, ma sono in realtà delle armi micidiali se messe in mano a superispettori a caccia di tesoretti nascosti nei paradisi fiscali e che possono rendere la vita difficile a chi cerca di evitare di pagare le tasse nella propria nazione e rischia ora delle ritenute alla fonte ben maggiori fuori casa.

La determinazione politica viene anche dall'Italia, dove soffiano venti di scudo fiscale (per far rientrare i capitali dall'estero) e non caso ieri il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, all'inagurazione dell'anno accademico della Guardia di Finanza (3,1 miliardi l'ammontare dei casi di evasione internazionale scoperti primi cinque mesi 2009), è entrato in argomento nel suo modo immaginifico: «È difficile fare contrasto all'evasione fiscale se appena fuori dai confini è possibile, comodo, sicuro, depositare il bottino come nella caverna di Ali Baba». Così, con un paragone tratto dalle Mille e una notte, Tremonti, ha rilanciato la necessità di una lotta comune a livello internazionale contro i paradisi.

Di fronte a uno schieramento compatto la Svizzera - che aveva ritenuto una pugnalata alle spalle il fatto di essere stata messa lo scorso aprile dall'Ocse (di cui è membro) nella lista "nera" o ora in quella "grigia" dei paradisi fiscali - dopo che a marzo aveva accettato di ammorbidire le Regole sul segreto bancario, ha deciso di collaborare. Berna ora conta di ratificare entro fine anno una dozzina di accordi per essere conforme alle regole Ocse in materia di trasparenza e scambio di informazioni fiscali e uscire così dalla lista "grigia", dove è in compagnia di paesi come Panama. Non solo. Anche l'Austria sta approvando un disegno di legge che renderà la cooperazione fiscale più facile, come pure il Belgio e il Granducato del Lussemburgo.

I tempi cambiano e i paradisi fiscali hanno capito che non potevano continuare a fare i "pirati fiscali" a scapito dei paesi vicini, ora alle prese con recessioni pesanti e deficit che si impennano ben oltre il vecchio e ormai dimenticato limite del tre per cento di Maastricht.

24 giugno 2009
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