Quattro dirigenti di Google compariranno in tribunale martedì 23 giugno a Milano nel processo che li vede imputati per la diffusione di un video che mostra i maltrattamenti a un ragazzo disabile torinese. Lo segnala il Financial Times, sottolineando che il processo potrebbe avere significative implicazioni per la privacy su Internet e per il futuro dei siti web di video-sharing.

Il caso riguarda il ragazzo down di Torino che nel 2006 era stato vessato da un gruppo di bulli coetanei, che poi avevano caricato il filmato su Google Video, la sezione video del motore di ricerca. Gli imputati, accusati di diffamazione aggravata e di violazione della legge sulla privacy, rischiano fino a tre anni di carcere. Sotto processo sono l'ex presidente del consiglio di amministrazione di Google Italy, David Drummond; un ex-membro del consiglio di amministrazione e poi Ceo di Google Italy, George Reyes; il responsabile europeo delle politiche sulla privacy di Google, Peter Fleischer; e Arvind Desikan, l'ex-responsabile di Google Video per l'Europa.

Il Pm, Francesco Cajani, sostiene che Google avrebbe dovuto prevenire la diffusione del filmato. Google ribatte di avere rimosso il video non appena ne è venuto a conoscenza. Google – ricorda il quotidiano britannico - afferma che considerare le piattaforme neutre responsabili del contenuto che viene messo on line è «un attacco diretto alla libertà e apertura di Internet».

«Gli esperti legali e di privacy dicono che il caso potrebbe fissare nuove regole su come devono operare i siti di video-sharing e su quanto in là possono andare nel controllo dei contenuti», osserva il Financial Times. L'articolo, firmato da Vincent Boland da Milano e da Richard Waters da San Francisco, cita Oreste Pollicino, professore di diritto alla Bocconi: «E' il primo caso, non solo in Italia, ma in Europa, a definire così chiaramente le questioni legali relative ai siti web di video-sharing».

Attualmente i siti web di video-sharing operano sulla base della direttiva Ue sul commercio elettronico, che esonera i provider di servizi Internet dalla responsabilità per i contenuti illegali. Ma secondo gli esperti, nota il Ft, queste regole potrebbero sottovalutare preoccupazioni nazionali e pubbliche. Secondo Trevor Hugues, direttore dell'International Association of Privacy Professionals, il caso di Milano dimostra come l'approccio standardizzato delle aziende internazionali alle tematiche della privacy e della protezione dei dati rischiano di urtare le sensibilità locali, anche se rispettano alla lettera le leggi: «In Europa, la privacy è vista come un diritto fondamentale dell'uomo».