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Lo scrittore Stuart ha mangiato solo cibo lasciato nel retro dei supermercati

di Leonardo Maisano

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22 luglio 2009
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Immaginate di avere fame, di non avere un quattrino e di non poter chiedere un prestito. Immaginate, in altre parole, di essere in una città sconosciuta a caccia di cibo. All'elemosina c'è un'alternativa più dignitosa, mostruosamente ovvia, sorprendentemente rivoluzionaria: andare al supermercato. O meglio, andate nel retro del negozio a scoprire, fra i cassonetti dell'immondizia, i tesori di una silenziosa tragedia quotidiana. Tonnellate di prodotti alimentari assolutamente commestibili sono gettate via, ogni sera, in tutto il mondo occidentale. Nel pomeriggio di un giorno qualsiasi in uno dei tanti Waitrose - catena up market britannica - nella campagna del Sussex, non troppo lontano da Brighton, abbiamo fatto la spesa fra i rifiuti per almeno 100 euro mettendo in fila: tre confezioni di formaggio cheddar organico grattugiato, un ananas, fette di tacchino bio, una confezione di panna, quattro pizze, due sandwich con humus, un pacco di pan carrè, due chili di carote, due di zucchine, uno di cavolfiori, mezzo chilo di salsicce, verdure tagliate e confezionate, un pollo satay, mezzo chilo di carne trita, un salamino italiano e due mazzi di gladioli non ancora fioriti. Tutto perfettamente confezionato, scaduto da 24 ore oppure in scadenza quel giorno stesso o nei mesi a venire. Tutto commestibile, eccezion fatta per la carne trita di inquietante pallore. L'ananas era perfetto, gusto intenso, sapore allappante. Provato per credere.
«Non è andata molto bene. Questa è una spesa mediocre. Da Spitafield, a Londra, sono tornato a casa con 25 cesti di mango delizioso. Il cassonetto aiuta la maturazione». Tristram Stuart, 32 anni, una laurea a Cambridge, militante Freegan, ovvero divoratore di quanto è gettato via, per scelta ecologista e non politico-ideologica, si concede a farmi da guida nel mondo della spazzatura. Setacciamo insieme il pattume sotto gli occhi del tutto disinteressati dei passanti, che vanno a comperare quello che domani Tristram raccoglierà gratis.
Affonda fino ai gomiti, si fa largo, scava e, reperto alla mano, commenta. «Prendiamo questo salame italiano. È stato distrutto un pezzo di foresta amazzonica per far crescere la soya, importata in Europa e usata per sfamare i maiali, poi macellati, lavorati, insaccati, messi in vendita. E buttati via». Tristram ama le immagini forti e, sicuramente, le esemplificazioni, ma siede su un vulcano di dati complessi e di grande impatto messi in ordine in anni di lavoro per dare a una sensazione diffusa - quella dello spreco alimentare - la certezza dello scandalo planetario.
Da un terzo a metà del cibo dell'Occidente, sostiene, è gettato via nella lunga filiera che muove dalla produzione per finire nelle dispense dei consumatori. Che le arance in Sicilia e i pomodori in Spagna siano sempre distrutti è noto; che le patate deformi o le mele nane siano spesso eliminate è fatto quasi risaputo; che i supermercati mandino agli inceneritori migliaia di tonnellate di alimenti pronti per la tavola, molto meno.
Waste-Uncovering the global food scandal è la summa del grande lavoro di Tristram Stuart che analizza tutta la catena alimentare in buona parte del mondo. Un atto d'accusa che vagamente echeggia, nell'approccio globale, Super Size me, la vita a forza di McDonalds del regista Morgan Spurlock. «Mi hanno chiesto di fare un film, ho contatti con documentaristi, vedremo». Per ora si accontenta del libro e di una gloria nata per caso.
In principio fu Gudrun, formosa e insaziabile scrofa della qualità Gloucester Old Spot. «Avevo 15 anni - ricorda Tristram - e volevo nutrire il mio maiale con avanzi alimentari. Oggi è vietato da una legge europea scandalosa. È stata varata per far fronte all'afta, ma peggiora tutto, costringendo a produrre alimenti per i maiali quando si potrebbero allevare molto meglio con gli scarti». E continua: «Torniamo a Gudrun e alla sua fame. Per accontentarla e per far nascere maialini organici (Tristram li mangia, non li contempla perché Freegan non significa Vegan, ovvero vegetariano estremo, ndr) ho cominciato a raccogliere gli avanzi della mensa scolastica, degli agricoltori che buttavano le patate malformate, dei panettieri che si liberavano del pane poco lievitato».
Grazie all'amore di Gudrun, Tristram ha sviluppato l'occhio clinico per quel che resta. Utilissimo a Cambridge quando non c'erano più maiali da sfamare, ma lo stomaco di un giovanotto da riempire. Il suo. «Negli anni del liceo avevo capito che molti rifiuti sono in realtà commestibili. Da allora rummaging the bins è diventato normale per me. Non lo faccio per contestare la società capitalista come molti Freegan, né per risparmiare, a parte forse quando studiavo, ma per passione ecologica. Il cassonetto migliore per me è quello vuoto».
In realtà è un po' una fissazione che la moglie Alice, giovane scrittrice di successo, sembra accettare, più che favorire. Ma non disdegna, apparentemente. «Quanto spendo per mangiare? Dipende da quello che voglio, se non lo trovo lo compro. Ma mi creda, si trova tutto. Me lo ha insegnato Spider».
Se Gudrun è stata la scoperta, il clochard Spider, con una tela di ragno tatuata in faccia, è stata l'illuminazione: «Ci siamo incontrati nel supermercato Sainsbury's: quando gli ho fatto presente che non volevo prendere cibo utile ai mendicanti, lui mi ha risposto "Hey mate..., ma tu non capisci. Se tutti gli homeless del paese dovessero venire a sfamarsi qui ci sarebbe ancora molto cibo per te"». Era vero, e non solo in quel Sainsbury's o da Sainsbury's in quanto tale. È per tutti così. La verità è che i manager dei supermercati in quegli anni non erano affatto interessati al cibo che si buttava via. E oggi? «La situazione è un po' migliorata, ma nel mio libro porto l'esempio di una recentissima spesa di successo, non come quella mediocre fatta insieme. In un Waitrose ho trovato: 28 pasti pronti - da chicken tikka a lasagne - 83 yogurt, 16 paste, sei meloni, 223 frutti vari, 23 brioche, una torta al cioccolato, sei pacchi di patate, 18 forme di pane. Quello del pane è un dramma. I produttori dei panini di Marks & Spencer eliminano le due croste e le prime fette dopo le croste di ogni pane a cassetta. Migliaia di pezzi ogni giorno».
  CONTINUA ...»

22 luglio 2009
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